A tutto Est: in Giappone

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21 nov 2015

14-11-2015: il weekend successivo

Sarebbe bastato che Mark avesse spostato di due settimane il festeggiamento del suo sessantesimo, che forse non saremmo più partiti per Londra.

Pisa, 14-11-2015 – il weekend successivo

Una settimana prima sei davanti alla cattedrale di Saint Paul dove quasi tutti portano il garofano all’occhiello per il giorno della memoria; attraversi il Millennium bridge da cui ti godi il Tower bridge. Scendi e hai davanti la Tate Modern, sulla destra, e il Globe Theatre sulla sinistra. Ed è lì che incontri Lucy e i suoi colleghi, studiano fotografia e cercano volti per il loro progetto fotografico di doppia esposizione in analogico. In cambio dei 10 secondi del tuo tempo concessi per uno scatto e un advice, ti regalano un sacchetto di Haribo.
Una settimana prima sei a Londra per festeggiare un sessantesimo con gente di ogni parte del mondo, in un ottimo ristorante italiano e coi camerieri che a Londra ci tengono a consolidare il principio che “la nostra è un’ottima cucina”. Ti bevi pinte di ale nei pub dall’illuminazione sempre azzeccata e lasci che la birra scivoli con le parole, in compagnia delle persone giuste. Passeggi tra i libri usati delle librerie di charring cross road. Ti sei spinto fino a "tutto est" per vedere la bassa marea dei canali e le case che sembrano nel fango, e quando rientri a casa di Bright, che sogna di andare in Sicilia a conoscere Dolce e Gabbana, di distrutto ci sono solo i piedi. Il resto è sano ed eccitato.

Il week end successivo è la distruzione vera invece; dell’io, del noi, del voi e del loro. Si manifesta il cambiamento che è in corso da un po’. Un bel po’. Nel mondo intendo. Mica solo in Europa.

Un minuto dopo la notizia degli attentati a Parigi io dico “ci siamo, siamo fottuti” e non mi preoccupo di spiegare il perché. Penso solo che un anno prima avevo sentito, visto e guardato la Striscia di Gaza. 

Due giorni dopo spengo la radio, che ininterrottamente avevo ascoltato. Mi accorgo che sto segnando i brani nella mia memoria. Ho accolto il suggerimento di usare la musica per trovare una chiave per reagire. In una qualche misura bisogna non fermarsi all'io, oppure dire che è Dio.

Una settimana dopo, la musica è questa:

Where is the love dei Black Eyed Peace
Capriccio n. 24 di Paganini suonata da David Garrett
Present Tense dei Pearl Jam
Vuci mia cantannu vai di Olivia Sellerio

E infine, nel marasma di idee e parole di ognuno, trovo questo video. O meglio, mi trova lui, perché è "virale". Ma è un progetto. Ben venga allora il retrovirus-HUG.



qui, il viaggio a Londra con la Ricoh 35ZF: LONDON

6 dic 2012

(2) Giro d'Italia: "consenso"

Guardia '82 by Brunori Sas on Grooveshark

Agosto 2012

le sigarette sono ancora le amadis blue
la musica è di Brunori Sas da Vol.1 "Guardia 82"
Robbi e Casa mi hanno fatto da cicerone a Cosenza. C'è poco da fare, quando conosci la tua città, la sai raccontare. Robbi sa la storia, Casa è affezionato ai luoghi. Robbi mi ha fatto notare che anche Cosenza ha ben 7 colli e che sta tra due fiumi, il Crati e il Busento. Pare che, sssshhttt silenzio, il tesoro di Alarico sia proprio lì sulle rive del Busento (questa si legge sussurrata). Mentre Robbi mi spiegava questo, io ero sul ponte e avanti avevo la città vecchia e dietro quella nuova. Casa era già nella vecchia e Lara fumava nella nuova. Ma che vuol dire Cosenza? Robbi mi dice che Cosenza era detta la città dei Bruttii, un popolo del IV secolo a.c. I Bruttii erano i servi dei Lucani, poi scoppia la guerra, i Bruttii si ribellano ai Lucani, diventano liberi e fondano Consentia: un consenso delle tribù dei Bruttii che la vogliono come capitale. E' semplice.
Fujica STX1 - lady grey 400 ISO

19 ott 2012

Giro d'Italia: "generazioni"

Canción de las simples cosas by Vinicio Capossela on Grooveshark

agosto 2012

Comincia un lungo viaggio in solitario a bordo di una Fiesta del 2005.
Mari, paesi, gente e tutto quello che sarà, bastano le sigarette e la musica, il resto verrà da sé.
Le sigarette sono le Amadis Blue
La musica viene da Rebetiko Gymnastas di Vinicio Capossela - Le semplici cose
Non è facile dire dove siamo qui.
Le foto le ho fatte con la Fujica e la EXA 1A, la pellicola è un foma 100, senza nulla togliere al foma, ma è una pellicola che uso per provare le macchine mai usate. Tuttavia, qualunque macchina e qualunque pellicola mi avrebbero fatto fare delle fotografie qui.
Quando c'è una Storia, l'occhio ne acchiappa i dettagli.
Un tempo questo luogo si chiamava Cavallerizzo, una frazione di Cerzeto, in provincia di Cosenza, quindi in Calabria. Nel 2001 ero qui. Ai tempi Cavallerizzo aveva 600 abitanti ed io andai in estasi per il modo in cui Cleofe mi presentò a sua sorella Amelia, perché zia Amelia era affacciata alla finestra di una casa che stava in alto, molto in alto e non la vedevo. Noi eravamo giù in una piazzetta un po' in discesa con l'altra sorella di Cleofe e di zia Amelia, zia Ilia. Zia Ilia era famosa per le sue capacità di commerciare, nel suo negozio aveva scarpe, vestiti, alimenti, cose per la casa, tutto, "attenta ca ti frica, zia Iluzza" diceva Lara, la figlia di zia Cleofe. In piazzetta, c'era anche Sandra la famosa Sandra, figlia di zia Ilia, di cui finalmente ero riuscita ad assaggiare uno dei dolci che, forse, cuoceva nel forno di Tonino, suo fratello. Tonino aveva la pizzeria in piazzetta e la pizza la faceva col caciocavallo.
Tutto questo in meno di 15 minuti. Una finestra, le strade, le case in alto e in basso, una piazza, un dolce e poi, dopo i 15 minuti, una pizza e le persone che vanno e vengono da quel monte dove Cavallerizzo si "arroccava", dove tutti erano nati e partiti in America del nord e del sud, in Australia e in Germania, tornati e poi rientrati, tutti zii dei nipoti, prima figli e poi padri, madri e adesso anche nonni.
Cleofe ogni giorno faceva le curve da San Marco Argentano a Cavallerizzo per tornare al Paese, dove c'era tutta la sua Storia, la sua terra, di cui conosceva ogni radice che sprofondava e si espandeva. Quella sera zia Amelia l'ho salutata per educazione, ma non l'ho né vista né capito cosa diceva a Cleofe, perché a Cavallerizzo parlano l'albanese del '600, una lingua che si sono tramandati oralmente. Allora io per la prima volta ero straniera in Italia! Ero finalmente in una comunità arbereshe o meglio ancora ghiegghia, come dicono gli stessi calabresi-non-albanesi quando vogliono prendere le distanze da un pezzo di storia che s'è conservato nei secoli "Si vidi u ghiegghiu e u lupu,  spara prima u ghiegghiu e dopu u lupu".  Nel 2005 il monte che regge Cavallerizzo si sgretola, lo sapevano gli abitanti, da mo' che lo sapevano, ma non si lascia la terra, li hanno mezzo avvisati, sono scappati, così nessuno è morto e dicono che è anche per questo che noi di altre Regioni non ne abbiamo mai saputo abbastanza di quel paese che non c'è più. Poi l'Italia s'è mossa, a modo suo, ma s'è mossa e Cavallerizzo è stata restituita "subito" agli abitanti, così, come l'ho vista quest'anno, nel 2012:

Cleofe continua a fare le curve da San Marco a Cavallerizzo ogni giorno anche se sono curve un pò diverse. Tonino si è trasferito a Sartano con la pizzeria e il caciocavallo. Io ho sentito il peso e la freddezza del senso di appartenenza che ognuno di noi ha per i proprio luoghi. O ci stai o te ne vai, non c'è via di mezzo per definizione, ma i luoghi restano anche se diventano new town. Sapere di poter tornare è l'ancora immaginaria. C'era un silenzio assordante quando mi sono accorta che dalla new town, la vera Cavallerizzo loro possono guardarsela, sempre.

24 lug 2012

Migrazioni



Holga 120CN

La prima volta che ho parlato di Mahajanga ho commesso un errore. Era qui ed era il 2009, a quel tempo a Nord del Madagascar non c’ero mai stata. Avevo vissuto nel Sud, nella regione dell’Androy e avevo un po’ di esperienza di Anosy (Fort Dauphin). Il malgascio è una lingua molto "logica", infatti, se la Regione si chiama Androy, il popolo si chiama Antandroy e la lingua Tandroy. Se la Regione è l’Anosy, il popolo si chiama Antanosy e la lingua Tanosy.
Questione di prime lettere.
Rimasi molto colpita dalla città coloniale coi palazzi in decadenza, ma la più grande novità era la presenza dei pousse-pousse: carretti colorati guidati da uomini magrissimi e scalzi che corrono da una parte all’altra della città tra pietre e rifiuti per trasportare spesso donne dal peso “inquantificabile” e cariche di spesa. 
Nel 2009, senza chiedere a nessuno, avevo dedotto che i pousse-poussier appartenessero alla classe povera e dichiarai che MAI sarei salita su un pousse-pousse. Troppo forte l’idea dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Molti mi dicevano che era comunque un lavoro, ma quello non è mai stato un buon motivo per me per pagare un uomo per farmi da taxi umano.

Quest’anno, ogni mattina, mentre fumavo la prima good look della giornata, un pousse-poussier cercava di convincermi a fare il tour della città. Io gli dicevo che dovevo andare a lavorare e che preferivo camminare, ma lui, ogni santo giorno, provava a convincermi dicendomi di approfittare “c’est le quatre-quatre malgache!”.
Un giorno mi ci sono messa a parlare e così l’ho guardato bene in faccia. C’era qualcosa di familiare nei suoi tratti. E’ così che ho scoperto che era un Antandroy, non solo, che tutti i pousse-poussier venivano dall’Androy e che il pousse-pousse era la loro casa (cioè ci dormono!) E anche tutte le donne che vendono la frutta sul ciglio della strada e si spalmano la terra in faccia erano Antandroy! Quindi mi correggo, la classe povera del nord a Mahajanga è fatta dal popolo del sud, migrato in cerca di lavoro.

Tutto questo ha stimolato ancora di più la mia passione: viversi un paese attraverso la gente. Allora nelle pause di lavoro, coi pousse-poussier e le venditrici di frutta ci parlavo. Molti di loro non ricordano neanche cosa fosse l’Androy, a volte hanno chiesto a me come se la passavano laggiù, in quel posto in cui per arrivarci ci vogliono 1 ora e 30 di aereo oppure 8 comodi giorni di taxi-brousse.
Fujica
Fujica
Fujica

Avrei preferito mango, papaya, banana, ma LEI aveva solo arance. Ne ho comprato 2 chili, poi le ho chiesto in cambio se potevo farle una foto.
Il sapore di quelle arance non l’ho mai sentito. Sono finite alla donna sfuocata, seduta dietro a godersi tutta la scena.