A tutto Est: in Giappone

6 nov 2022

Come mi è andata a Ottobre




















In Congo, quando al mattino esco per andare a lavoro il guardiano mi chiede "C'est le départ ?"
E quando rientro la sera "C'est le retour ?"
Il 16 ottobre ho preso l’aereo dall'Italia per il Congo e mi sono detta « parto. » Poi in aereo ho cominciato a pianificare tutte le cose di questo « ritorno».

La pausa in Italia è stata necessaria. 
Prima di arrivarci sono passata dalla Tanzania, dove c'ero stata nel 2006, nel mio primo giro in Africa sub-sahariana. L'aereo fece uno scalo di 30 minuti a Zanzibar per poi dirigersi verso Dar Es Salaam. E rimase la voglia di quell'isola inesplorata. Dopo 16 anni eccomi a Zanzibar con Mic e Mari che lì ci ha abitato per un po', circa 30 anni fa. A Zanzibar ci si va per le grandi spiagge a perdita d'occhio e le barche tipiche, le tartarughe, i colobi e i Masai con cui negozi scrivendo il prezzo sulla sabbia. A Stonetown invece si vede la storia di questa capitale del sultanato di Oman: i palazzi, le moschee e le porte indiane in legno intarsiato. Noi abbiamo visto una cosa bella, che andrebbe inserita nel circuito turistico. Siamo andati dal fotografo da cui 30 anni fa Mic si faceva fare le foto di famiglia da mandare come cartolina natalizia in Italia. Il fotografo era ancora lì, nel suo negozio di foto in bianco e nero e lui e Mic si sono riconosciuti.
il fotografo di Zanzibar - Yashica Mat124 
la foto di famiglia

Poi finalmente verso l'Italia da cui mi sembrava di mancare da un tempo infinito. Ho fatto un concentrato di luoghi, persone e cose tra famiglia, amici, mare, aikido, bevute e ho sentito quanto il Mediterraneo sia la radice che mi tiene salda ovunque.

Poi il posto 42B di Air France del volo delle 6:30 del mattino del 16 ottobre, con una partenza incerta fino all'ultimo perché il test COVID io non l'avevo fatto e invece ci voleva. Ma io di controllare, manco per niente. La mia psycho avrebbe detto che il subconscio non smette mai di lavorare e che forse non volevo partire.
Mi hanno salvato il decreto congolese, che stabiliva la fine dello stato di emergenza nel paese, un po' di diplomazia al check in e una sorprendentemente gentile dipendente di airfrance.

All'atterraggio, orribile stavolta, non ho messo Hello di Adele come ogni volta. Forse è per quello che è stato orribile. A Brazzaville ho trovato il cielo grigio e il freddo del bizzarro inverno del sud del Congo. Il dojo accanto all'ufficio ce l'hanno tolto perché non pagavano il mese e invece quello fighissimo dell'ex Ministro è sempre lì e abbiamo fatto lezione nella penombra perché era saltata la corrente.
Maman Ro è morta e così Brazzaville ha perso il miglior ristorante della città. A Maman Ro piaceva mischiare cucina congolese con un pizzico di altri paesi. Tipo nel saka-saka lei ci metteva la melanzana. Ma la cosa bella era che il ristorante era il giardino di casa sua e ce ne tornavamo sempre con i tupperware pieni, perché il cibo era sempre molto di più del necessario. 

Poi finalmente Ouesso.
Quando siamo entrati in casa con il pickup ho scommesso che ci fosse Regis di turno a fare il guardiano. « Madame, ora basta partire », mi ha detto.
La casa finalmente si è riempita di nuovo. Adesso ci sono due nuovi collocs : Ous e Bodyguard e vediamo cosa sarà. Ous viene dal Niger e il sabato dal suo annex escono gli odori del cibo di Africa dell'ovest che prepara per la settimana. Bodyguard invece è francese ed è appena arrivata ed è ancora tutta da scoprire. Nel frattempo in mia assenza ha dato ordine alle cose nella grande casa. Io non vedo l'ora di contribuire al cambiamento con il mio nuovo trapano Bosch, che a Ouesso di trapano ce n’è solo uno in condivisione tra i vari menuisiers.

Poi una notte è scattato l'interruttore della corrente. Ci sono voluti 2 giorni di elettricisti scalzi, che volevano salire sul tetto senza scala passando da un buco fatto nel soffitto, per poi capire che il problema era una delle 7 nuove lampadine che i guardiani avevano fatto mettere in esterno « pour mieux vérifier pendant la nuit, Madame ». Ora però se ne devono far bastare 6.

In ufficio non ho fatto in tempo ad aprire la porta della mia stanza che subito mini-Maman-Esther si è infilata, spingendo e scusandosi perché aveva fretta di togliere la polvere di più di un mese. Coordo mi ha accolto con un «voilà la voyageuse» e l'équipe, tutta intorno al grande tavolo, con il solito sorriso silenzioso ad attendere che sia io a dire il primo « ça va ».

Nel frattempo i pulcini venuti dal Rwanda sono diventati polli e Mme Pierrette ne ha cotto uno con le patate. Ha detto che è proprio buono, saporito e tenero, ma anche che ha dovuto consolare sua sorella che al polletto si era affezionata. E a proposito di polli, il beninese che fa gli shawarma adesso fa anche l'hamburger di pollo, ma li fa ancora con i polli che arrivano congelati dal Brasile. Non l'ho ancora provato.

I ravioli a Ouesso
La grande novità di fine ottobre è che Clém, in missione nel nord, è venuto da Brazzaville con la macchina della pasta e abbiamo fatto i ravioli. Clém li conosce tutti i ravioli del mondo, ci sta facendo proprio uno studio e questi li abbiamo fatti un po' secondo lo stile fusion di Maman Ro, ossia con oseille e cacioricotta fresco fresco di Puglia .

Ogni boccone un moto di gioia e incredulità per i 56 ravioli fatti in 3 ore da due italiane e un francese, in quel paese che nessuno conosce e che quando dici Congo per tutti è sempre quell'altro.

8 mag 2022

Una cosa normale

Oggi a Kabo avremmo dovuto fare delle riprese su alcune delle attività di progetto su cui lavoro: allevamento, caccia e monitoraggio della fauna selvatica.
Poi però tutto è saltato per un imprevisto della troupe e così siamo corsi a scusarci con le comunità che avevamo allertato.

Quando M Samba ha aperto la stalla, le capre sono volate vie. Le aveva lasciate chiuse per permetterci di fare le riprese. Dentro la stalla abbiamo trovato un cane morto. Con distacco, M Samba ci ha detto che probabilmente era rimasto lì dalla sera precedente e le capre lo avevano fatto fuori. Strategia di gruppo.

M Samba è un saggio del villaggio oltre che il più grande allevatore tra i nativi del luogo. Ci dice che l'allevamento ai piedi della foresta ha i suoi limiti, ma che ha anche un grosso potenziale economico. Parliamo dei servizi veterinari, necessari e inesistenti. “Mais, on fait avec”, conclude. 
Così, dopo esserci scusati per il disturbo creato, ci diamo appuntamento a fine mese per la formazione.
“C’est bon. On est ensemble”.

Con Benj ci spostiamo nel quartiere dei Ba'kaa, che sono i cacciatori con cui dobbiamo scusarci. Sono gli autoctoni della zona, i veri esperti cacciatori, mandati a cacciare dai Bantu. I Ba'kaa sono nati nella foresta e di questa conoscono tutto. 
Anche Benj ha una motoretta con rimorchio, se ne vedono tante a Ouesso, le usano per qualsiasi tipo di trasporto (bottiglioni d'acqua, bombole del gas...). Benj però ci ha aggiunto la sedia di vimini per il passeggero. 
Per il video di oggi, con i cacciatori avremmo dovuto continuare a sperimentare un gioco, per affrontare il tema difficile della sostenibiltà. Si fa con i fiammiferi, che rappresentano gli animali cacciati. Non si vince, ma ci si rende conto di cosa succederà in futuro. 





Arrivati nel quartiere la musica è forte, fatta di percussioni su barili e bidoni. Sono bambini e ragazzi, a ripensarci, gli stessi che la sera precedente suonavano davanti al ristoro di Mme Benj. Con questo rito i Ba'akaa annunciano che qualcuno è morto nella comunità. Si fa durante la veglia e dura fin quando non si sono raccolti tutti i soldi necessari all'enterrement, la sepoltura. A volte può durare anche una settimana. 
@C.Nzuonzi/WCS
L’uomo che mi sono trovata davanti è lo stesso che stamani era venuto in ufficio, ma io non parlando la lingua locale, non avevo capito nulla. Era venuto a chiedere a Benj la motoretta per la sepoltura. Ci dice che andrà a chiamare gli altri cacciatori. Io seguo i colleghi, che mi portano verso un capannello di gente.

Mi fanno accomodare tra 4 persone. Ci salutiamo. Ci fissiamo. Siamo a circa una decina di metri dal gruppetto di gente, che a sua volta sta intorno a un grande tavolo basso. C’è un signore che è seduto su una sedia di legno e si dondola. Più in là, una donna incinta col un piccolo in braccio. Un'altra danza. Vestono tutte con dei pagne (tessuti africani), i bambini sono per lo più nudi con un cordino in vita. Alcune donne hanno della terra chiara intorno al viso, una ce l'ha anche sulle braccia. E' quella che piange, guardando verso la parete di legno della casa. Sembra che ci guardi dentro, spiando attraverso le listarelle. Si dondola in un pianto dolce e disperato.
Mi vengono in mente tutte le volte che ho visto attori lavorare proprio alla ricerca di quella fisicità, per trovare un pianto, un'emozione, un qualcosa di forte.

La donna che danza ora fa il giro tra le altre persone e getta qualcosa - o forse  niente - su ognuno di loro. Poi va verso il centro, si avvicina al tavolo e agita le anche guardando verso un punto fisso. Sorride e pronuncia delle parole. Mi accorgo all'improvviso che su quel tavolo basso c'è il corpo semi nudo di qualcuno, che ne abbraccia un altro coperto da un telo bianco a disegni neri.
Realizzo che mi hanno portato dal morto.
Stupita di me, continuo a guardare intensamente tutto, senza provare quella paura che un corpo senza vita mi ha sempre fatto.


Poi ci alziamo e andiamo via. Seguo il mio collega. 
Mi aspettavo un commento qualsiasi da parte sua, invece mi dice soltanto che i cacciatori sarebbero arrivati più tardi, perché sono già partiti con Benj in motoretta per scavare la fossa e che ci saremmo scusati un'altra volta.

Così, come fosse la cosa più normale del mondo.

8 apr 2022

Serate

Ouesso, una sera delle tante

Qualcuno bussa alla porta, il guardiano ci chiama per avvisarci.
"Ciao, sono qui di passaggio per..."

Spesso è per lavoro che la gente si ferma da noi "alla casa degli expat di Ouesso", prima di andare verso i villaggi del nord. Da quando la gente ha ripreso a viaggiare, i passaggi non mancano.

A volte li conosciamo, a volte ci avvisano, a volte bussano e basta. Li accogliamo in veranda e se non portano da bere, le birre le prendiamo noi dalla maman accanto, che ci rimprovera sempre perché non le riportiamo i vuoti. Con un' italiana e una spagnola in casa, gioco forza che la bevuta si trasforma in cena. 
Così restiamo insieme, le chiacchiere scorrono e la rete di conoscenze si allarga. A volte nascono amicizie. A volte quella persona invece sarà per una volta e basta.

Stasera sono venuti una belga, un'italiana e due tedeschi. La belga ha fatto le crepes troppo salate, ma che sono andate benissimo con le melanzane preparate dell'italiana. 

Domani con alcuni di loro andrò in Repubblica Centrafricana, al Parco Dzanga Sangha, dove pare ci siano centinaia e centinaia di elefanti. Il bello è che ci andremo via fiume da Ouesso.

Prima di andare a letto abbiamo fatto una foto. In realtà ne abbiamo fatte tante stasera e ci siamo fatti anche tante domande e chiesto cose che non sempre chiediamo in queste serate insieme. Ci siamo detti come siamo quando siamo a casa nostra, cosa facciamo che qui non facciamo e cosa desideriamo e tanto altro.
Stasera era diverso, perché sapevamo che era una delle ultime sere insieme: i miei compagni di casa vanno via tutti tra non molto. Ognuno verso un'altra strada. 
Lo avevo messo in conto e mi preparo a questo periodo in solitario, nella grande casa in attesa di altri arrivi.

Vediamo che sapore avrà tutto questo.