A tutto Est: in Giappone

30 ott 2013

camera aperta: gnocchi in Kurdistan!



notizie dal Kurdistan iracheno



Allora, sorprese in camera aperta: Zeudi è nel Kurdistan iracheno.
No, non è con Arrogance. Quei due manco si conoscono. Magari! Così almeno Zeudi ci darebbe qualche notizia, che sto Arrogance sembra averci abbandonato.
Insomma, Zeudi è a Dohok, nel nord dell'Iraq, lavora al campo profughi e ci starà fino a dicembre.
Zeudi un po’ la conosco e dopo l’Afghanistan ora le ci voleva proprio un’altra missione "in emergenza" tra bambini, donne e rifugiati in un posto in cui c’è poco e male. 
Zeudi è questa e noi ce la leggiamo:

 
Dohok, Iraq del nord, 18 ottobre 2013
sulla strada per Dohok

...Quanto alla cittadina è strana, una Reggio Calabria in una valle, palazzi in costruzione lasciati a metà, strade che si incrociano perpendicolarmente, nemmeno una rotonda, tanti kebabbari, nemmeno un bancomat, unica valuta: il dollaro.
Al piano di sotto c'è l'ufficio, al piano di sopra ci siamo io e i colleghi. Lavoriamo tra le 12 e le 14 ore al giorno e c'è chi ha trovato i propri modi per non stressarsi:
la salvadoriana ha comprato la cyclette e va dalla coiffeuse, l'indonesiano prima di andare a dormire chiama i suoi 5 figli e cerca di organizzare un matrimonio a distanza,
l'omosessuale guarda le serie tv tipo glee e i musical,
l'inglese beve e fuma. 
Io ho smesso sia di bere sia di fumare. Pulisco e leggo e mi unisco un po' di qui e un po' di là.
Comunque a me piace stare con i rifugiati e nel campo, mi piacciono pure le piadine che fanno, mi metto lì dal kebabbaro con la mia interprete e mangiamo mentre io chiedo, a destra e manca, come sia possibile che ci siano barbieri, alimentari, ferramenta all'interno del campo.
Questi si sono organizzati ben bene e come dice il mio collega indonesiano “ quanto si lamentano! Non gli va bene niente, vedessero il Sudan!” 

E oggi che farai?
Oggi è festa e faccio gli gnocchi

gnocchi al campo

12 ott 2013

A. incontra il fotografo

E’ in arrivo da Milano un fotografo che dovrà fare un servizio sugli albanesi. E’ il 1991 e siamo a Brindisi. A. è convocato dal redattore del giornale col compito di assistere il fotografo per tutta la durata della missione. A. non dice di no, ovviamente è lavoro e poi è un fotografo anche lui, qualcosa imparerà. Erano i tempi dell’analogico, quelli del 1991. Il fotografo di Milano si presenta con una nikon f401 e un 35mm, A. invece acchiappa la sua nikon f3 con un 20mm e un 35-70 mm e vanno. Vanno tra gli albanesi, quelli sbarcati e quelli rimandati, quelli della stazione di Restinco e quelli ancora sulle navi, quelle navi piene zeppe di persone, di corpi e di escrementi. A. entra ed esce dalle navi col fotografo, lo guarda scattare e pensa che saranno foto bellissime. A. osserva gli albanesi e osserva il fotografo, lo vede muoversi, parlare, lo vede infilarsi in quelle vite, lo fa con discrezione, rispetto e umiltà. A. ne è ammirato e non sente manco più la puzza di escrementi, sente solo la stanchezza di quel vedere. A. non capisce perché debba passare tutto sto' tempo col fotografo, portarlo in albergo, a mangiare e poi di nuovo in albergo tutti i giorni di quei giorni. Il suo capo gli dice di non preoccuparsi: è il suo lavoro in quei giorni e A. ubbidisce. Così A. diventa amico del fotografo a furia di entrare e uscire dalle vite e dalle navi, stazioni, scuole e pestare escrementi, fotografare quell’attesa dell'Uomo (ma di partire o di restare?) vedere occhi tremanti, sguardi vividi che ti penetrano e bambini che in fondo la trovano sempre una buona ragione per sorridere (porca miseria se fa male il sorriso di chi sta male!) e poi i cancelli, i vestiti enormi e le coperte donate. Insomma dopo tutto questo, sono amici adesso A. e il fotografo, che poi un giorno lui se ne tornerà a Milano e lascerà A. nella sua Brindisi e le navi nel porto. Così quel giorno arriva, il fotografo ha finito, parte e gli lascia il biglietto da visita “nel caso in cui, passando da Milano, tu avessi bisogno…”. Il fotografo è Ferdinando Scianna e A. non lo sapeva.


Il racconto di A. mi ha fatto ricordare degli anni in cui anche mio padre si serviva di A. quando schedava gli albanesi a Restinco e di quando li vedevamo arrivare al piano di sotto del mio liceo. I Professori ci spiegavano che sarebbero stati lì temporaneamente, per poi essere mandati nelle altre città italiane, dove si sarebbero inseriti e avrebbero trovato lavoro, che erano cittadini come noi, che dovevamo accoglierli e che i figli sarebbero saliti al piano di sopra a studiare come noi e con noi. Giorgia, infatti, arrivò nella sezione B due anni dopo. Portavamo loro le mele durante l’ora di educazione fisica, quando andavamo giù in cortile e loro ci guardavano dalle finestre. Un giorno li beccammo a cucinare e gli spiegammo che la pasta si buttava quando l’acqua bolliva, non quando era ancora fredda, tanto l’italiano lo avevano imparato dalla TV a Valona.
Chissà cosa realmente vedessero i miei occhi, ma non ricordo di aver mai provato fastidio, né pietà per quella gente in attesa al piano di sotto.

Questo post è pronto da una ventina di giorni ormai, aspettavo la licenza della magnum per aver scaricato la foto che trovate qui sotto, così da essere in regola con i diritti di proprietà. Però a Lampedusa la gente continua a morire e non posso più aspettare. C'è quella cosa che gli scrittori chiamano urgenza, a me semplicemente "m'hannu pruduti li mani" come dicono i mesagnesi. Chiedo scusa alla magnum per questa fretta.



E adesso silenzio e scorriamo le foto di Ferdinando Scianna e anche un po’ di A.
ITALY. Brindisi. Exodus of Albanians. Ferdinando Scianna (© Ferdinando Scianna/Magnum Photos)

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© Ferdinando Scianna/Magnum Photos

...e se volete concedervi ancora qualche minuto, qui Erri de Luca raccontò nel 2009 l'immigrazione dal cimitero di Lampedusa


PS
A. è Alfredo Perchinenna, il fotografo ufficiale del matrimonio di SandS, ma questa sarà un'altra storia...