A tutto Est: in Giappone

27 ott 2021

Immaginare, pas de soucis!

Ottobre 2021, Ouesso

la maison d'art di Ouesso

Lui è Alban, davanti alla sua "maison d'art", che si trova sulla strada per il mercato di Ouesso. 
E' sabato, sono in taxi e ho chiesto al tassista di farmi scendere, la maison è finalmente aperta. Alban lo trovo sotto l’albero a dipingere. Mi presento e lui fa gli onori di casa. Mi mostra i suoi quadri, sono per lo più scene di vita quotidiana; Manuel invece, dipinge gli animali. Manuel non c'è, vive a Pokola, al di là del fiume. 
Tra i vari quadri che Alban mi mostra ce n'è uno con due zebre. Vede la mia espressione e mi anticipa dicendo “anche se qui in Congo le zebre non ci sono”. 
Quando ho chiesto ad Alban quale fosse il simbolo del Congo, lui ha inteso quale animale-simbolo e mi ha detto "les elefantes, maman", anzi "due elefanti con in mezzo un leone" e ha aggiunto "anche se il leone non esiste in Congo. Mais ça suffit d'imaginer, maman". 

Basta immaginarseli.

Anche sul tetto dell'is'art Galerie di Antananarivo c'era un elefante in cartapesta. E chi l'aveva costruito mi aveva detto una cosa simile "L'ho fatto per dare la possibilità di fare vedere ciò che altrimenti qui possiamo solo immaginare, tsy maninona”, cioè non fa niente, pas de soucis, non ci sono problemi

E' quello di cui ho quotidianamente bisogno qui, immaginare senza farmi problemi.

L'elefante dell'is'art galerie di Antananarivo
Immaginare ciò che non è, rispetto a quello che per me sarebbe. Mi riferisco a tutte le volte che qui spalanco la bocca e mi stupisco davanti a qualcosa che non avrei mai pensato potesse accadere, secondo quello che io intendo per logica.

Con Alban parliamo di cosa faccio io e di cosa fa lui. Mi chiede se disegno, gli dico che sono negata, ma mi piace la fotografia. Gli mostro la FM2 e dice che non l'aveva mai vista una macchina così. Gli dico che mi piacerebbe fotografare la gente di Ouesso per esplorarne l'identità, la quale sembra essere nascosta o confusa. Non so bene come, ma vorrei che ci fossero i commercianti mauritani, beninesi e centroafricani; gli agricoltori camerunensi, i congolesi di Kinshasa che costruiscono le piroghe, i congolesi di Brazzaville, di Ouesso e gli autoctoni e poi anche noi 7 expat presenti in questa città cosmopolita.

Alban mi conferma quello che sapevo: qui farsi fotografare è complicato, le persone sono scettiche e resistenti. Addirittura Coordò mi dice che ci vuole un permesso della prefettura.
In passato in alcuni paesi si sono rifiutati di farsi fotografare, perché è come togliergli l’anima. E davanti a questa affermazione era difficile replicare. Anche qui ne hanno una da non sottovalutare: se li fotografi poi te ne vai a casa tua, stampi un libro e ci fai i soldi sulle loro immagini. Io la replica ce l’avrei e cioè che le foto sono loro, resteranno alla città e faremo una mostra qui.

Alban mi dice che qui la gente non è abituata alla fotografia come forma d’arte, si fanno le foto a Natale e ai compleanni e per i documenti. L'arte non si spiega, dice, ma il progetto posso spiegarlo e mi da' qualche speranza che la gente possa poi partecipare. Patecipare, è proprio la parola giusta.
Alla fine Alban si propone di aiutarmi a parlare con le persone, mi dice che questo è uno dei compiti dell’artista: far conoscere quello che non si conosce.
Alban quando ascolta sorride con la testa china da un lato. 
Inizio a sentire che questa città ha qualcosa da dire. Bisogna cercare, avere pazienza e non smettere di immaginare.
Così, io e Alban ci diamo appuntamento a sabato prossimo, vuole cominciare dagli autoctoni. Mi fido. 
Lui torna al suo albero a dipingere le scene di vita quotidiana e io mi ci butto dentro, per le vie dei mercati.

La lista della spesa oggi è fatta di materiale per la casa; passo tra le montagne di secchi di plastica colorata e le marmittes di tutte le dimensioni, impilate una sull’altra. La maman è seduta sul bancone e mi dice che oggi ci sono i saldi sulle sedie in plastica.

Per la cronaca, qui se sei donna sei maman, se sei uomo sei papa

Non ho bisogno di sedie, ma di 3 bacinelle rettangolari per la camera oscura, ma niente, a Ouesso ci sono solo bacinelle rotonde. Proseguo e mi fermo da due donne che vendono cosmetici e mutande.
Neanche loro sono di Ouesso, arrivano dalla capitale. Una è quasi addormentata sui cartoni di roba da vendere, l'altra appende i teli per coprire i prodotti dal sole delle 11 del mattino.
Questa sarebbe una foto bellissima. 
La donna stesa si chiama Regine "mais sans royaume, maman" aggiunge. Dice che si annoia perché la gente non compra. Nel mettere a posto il resto dei soldi, tiro fuori la macchina fotografica. Lo faccio apposta, ovviamente. Anche lei mi dice che i congolesi non amano le foto "andate via con le nostre immagini". Le parlo dei ritratti che vorrei fare e le chiedo cosa ne pensa. Dice che sarebbe meglio un film allora, con della bella musica. Parliamo di musica, di tamtam, di rumba (il ballo tradizionale che ha un legame con Cuba). Ci diamo il numero di telefono, vuole sapere come andrà col mio progetto fotografico. Alla fine del grande sorriso che ci scambiamo le chiedo se possiamo scattare una foto e lei mi dice che non è pronta. Magari la prossima volta.

Alla prima traversa accanto al supermercato con la grande scritta CocaCola c’è la donna dei pagne. Li chiamano così, i grandi teli africani davanti ai quali mi fermo ogni volta, catturata da quella immensità di colori. Ovviamente neanche questi non sono prodotti qui, però la gente li veste e i mille sarti che ci sono ad ogni angolo usano questi tessuti per cucire vestiti bellissimi per uomini e donne. La maman ha già capito che comprerò. Anche lei è seduta sui prodotti che vende. Si ricorda di me e dell’ultima volta che ho comprato e mi fa lo stesso prezzo. Mi gira la testa quando mi fa entrare a guardare la montagna di pagne che ha. Cerco qualcosa col rosso ed esco con una fantasia turchese e un’altra arancione. La novità adesso sono i "deux temps", ossia 2 pezzi venduti insieme che puoi separare e vestirli quindi in “due momenti” differenti. 
Le sintesi geniali di questi paesi. 
La maman la foto se la fa fare senza esitazione, mantiene la mascherina sotto al mento, si mette sullo sfondo dei suoi pagne appesi alla porta. La foto è in bianco e nero.
Tutto questo dura circa due ore e ho fatto in tutto 3 scatti.

Alla fine passo da Salem II, che ho deciso essere il più simpatico dei 3 Salem. Mi regala ogni volta le holliwood e dice ad alta voce i prezzi di quello che compro mentre imbusta. La trovo una forma di rispetto in mancanza di registratore di cassa e di qualunque altra prova di pagamento. Salem i numeri li dice a bassa voce in arabo, quando batte sulla calcolatrice e li comunica in francese al cliente. Chiederò anche a Salem uno scatto, naturalmente.

Quando ripasso davanti alla maison d’art la trovo chiusa. Sono le 14 e Alain sarà andato a mangiare. Devo correre a casa perché ho il carpentiere che mi aspetta per sistemare i mobili della mia stanza, che non è ancora terminata. Nonostante lo sforzo immaginativo non ho ancora finito di riadattare tutto quello che avevo chiesto e che è arrivato in forma diversa: ripiani più larghi del muro, scaffali più alti del soffitto...
Adesso però col nuovo carpentiere Myr stiamo tagliando e adattando. Myr mi ha voluto fare una zed per i libri. Myr non usa il trapano, ma batte col martello talmente forte che parte la scintilla sul chiodo. Myr non avrà 30 anni e non peserà più di 70 kg. Myr s’impegna, è puntuale e quando arriva mi scrive un sms: "sono arrivato, sono seduto col guardiano" che appunto non lo fa entrare in casa se prima non ha verificato che io non sia occupata. Peccato che a volte il guardiano interpreta male e lascia Myr 40 minuti ad aspettare. Myr ogni volta mi porta un piccolo dono: una noce di cocco, una cabossa (frutto del cacao), le banane plantaines (quelle che si friggono) e ogni volta mi chiede se conosco quello che mi sta offrendo. L’altro giorno gli ho offerto io il caffè italiano e ce lo siamo preso seduti sul divano di vimini, con la curiosità del guardiano che ci guardava in questa configurazione inusuale: la maman con l'operaio.
Mentre prediamo il caffè, condivido con Myr alcuni dubbi su come comportarmi in alcune situazioni qui. Tipo quando le persone non ti avvisano se c’è un problema, anche se ogni frase si conclude con "pas de soucis, maman". Tipo quando le persone non vengono dove abbiamo concordato e tu aspetti e poi qualcuno compare con tuttta calma e non proferisce parola. Tipo quando nessuno viene perché piove (e qui piove 8 mesi su 12). Chiedo per capire come incastrarmi in questo concetto di tempo diverso e soprattutto in questo gioco del silenzio. 

Myr ascolta, tace, beve il caffè nella mia tazza preferita, quella color foresta e poi dice qualcosa, ma non lo capisco. E' come se anche lui stesse riflettendo insieme a me. Gli dico che non ho capito e lui mi dice che qui nessuno è di qui, quindi in sostanza, perché spiegare, dire, cambiare? Mi dice che Ouesso è una città di nessuno e di cui nessuno si appropria. Eccola quindi, la città di passaggio, cosmopolita, che non appartiene a nessuno, è Myr che me lo spiega. 
Così anche io devo premere reset e rivedere le aspettative e le logiche. 
Myr vede il kekogi di aikido appeso allo stendino e mi chiede se faccio karate. No, aikido, ma adesso andiamo a lavorare mentre ti racconto.
la "zed" rivisitata
Myr finisce di montare gli scaffali. Fa scattare un paio di scintille sui chiodi e a lavoro finito mi chiede se mi piace la zed che mi ha costruito. Vorrei dirgli che la zeta non è fatta così, ma abbiamo parlato finora di immaginazione... 
Fa per pulirsi i pantaloni dalla polvere, solo che sulle ginocchia non ha alcun tessuto. Myr veste coi  jeans strappati come i giovani trendy di Ouesso coi cappellini portati con la visiera dietro, il giubbino tarocco di Dior - non importa se ci sono 35 gradi - e le mutande che escono dalla vita bassa.
Ci diamo appuntamento a lunedi per terminare con il mobile del bagno.

Dopo un’ora ricevo un messaggio. E’ Myr che mi invita a fare jogging domenica mattina lungo il fiume Ngoko. Dico ok.
L'appuntamento è alle 6:30 del mattino, davanti al poste de police.
Accetto, perché se mi immagino lì, so che poi mi piacerà.