A tutto Est: in Giappone

23 nov 2020

Quel 23 novembre 1980: quando la terra tremò in Irpinia e noi lo sentimmo.




Il ricordo di papà.

Noi, all’epoca, abitavamo a Matera nella Caserma della Polizia nell’alloggio di servizio del 3° piano. Era domenica: io ero seduto in salone a guardare le partite di calcio; Laura, 6 anni, giocava a fare l’indossatrice e aveva indossato un abito di mamma che le stava molto grande; Daniela, 4 anni, era in cucina insieme alla mamma. 

All’improvviso si sentirono tremare il pavimento e i vetri delle finestre. I candelabri oscillavano paurosamente e alcuni oggetti posti sui mobili cadevano a terra; allora, presi dalla paura, decidemmo di uscire da casa per recarci in un posto più sicuro. Mentre inziavamo a scendere le scale, mi resi conto che Laura non era in grado di muoversi perché inciampava nella veste che aveva indossato, molto grande, e Daniela si era bloccata alla prima rampa. D’impeto presi in braccio entrambe le bimbe e scesi le scale con molta difficoltà perché le scosse di terremoto ci sballottavano tra la ringhiera e il muro ed era andata via la luce. La mamma scendeva dietro a tutti. 

Giunti, finalmente, al pianterreno, ci portammo nel cortile della caserma, all’aperto, e ci posizionammo lontani dall’edificio per ripararci da eventuali crolli. 

Subito dopo iniziarono a giungere alcuni abitanti del vicinato urlando e piangendo. Il cortile era illuminato dalle lampade del gruppo elettrogeno e sui nostri volti era evidente la paura, il terrore! Infine, decidemmo di allontanarci da lì e ci portammo in macchina a casa di Gianni che abitava in una villetta a piano terra in periferia dove non si temevano crolli. 

Lì fummo ospitati tutta la notte sino al giorno successivo la mamma con le figliole, mentre io ritornai in Questura da dove giustamente i poliziotti di servizio si erano allontanati per recarsi presso le proprie abitazioni. Solo il piantone e il centralinista erano rimasti al loro posto. Il questore, sessantaquattrenne, si era rifugiato nel suo alloggio con la moglie. Li trovai seduti l’uno affianco all’altro e terrorizzati non riuscivano a parlare. Li convinsi ad uscire e a portarsi nel cortile della caserma. 

Le comunicazioni telefoniche erano interrotte e ciò rese difficoltoso avere notizie in merito al terremoto e all’epicentro. A questo punto feci intervenire il personale radiotelegrafista che, a bordo di un automezzo attrezzato con apparecchiature ricetrasmittenti, riuscì a mettersi in contatto con la Prefettura di Potenza da cui giunsero notizie terrificanti che furono approfondite nei giorni seguenti. Il mio collega della Polizia Stradale, con le sue pattuglie si spostò in direzione di Potenza dove c’era bisogno di soccorso urgente e, mentre si dirigeva in quelle località, comunicava via radio il disastro e le vittime provocati dal sisma. Nei giorni successivi anch’io fui mandato a Potenza per concorrere alle operazioni di soccorso.

«Non vi sono stati i soccorsi immediati che avrebbero dovuto esserci, perché in quel tempo non esisteva la Protezione Civile. Ancora dalle macerie si levavano gemiti, grida di disperazione di sepolti vivi» (il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini)

Il resto è storia.

Alle 19:34 oggi restermo tutti in silenzio per un minuto.