All’improvviso si sentirono tremare il pavimento e i vetri delle finestre. I candelabri oscillavano paurosamente e alcuni oggetti posti sui mobili cadevano a terra; allora, presi dalla paura, decidemmo di uscire da casa per recarci in un posto più sicuro. Mentre inziavamo a scendere le scale, mi resi conto che Laura non era in grado di muoversi perché inciampava nella veste che aveva indossato, molto grande, e Daniela si era bloccata alla prima rampa. D’impeto presi in braccio entrambe le bimbe e scesi le scale con molta difficoltà perché le scosse di terremoto ci sballottavano tra la ringhiera e il muro ed era andata via la luce. La mamma scendeva dietro a tutti.
Subito dopo iniziarono a giungere alcuni abitanti del vicinato urlando e piangendo. Il cortile era illuminato dalle lampade del gruppo elettrogeno e sui nostri volti era evidente la paura, il terrore! Infine, decidemmo di allontanarci da lì e ci portammo in macchina a casa di Gianni che abitava in una villetta a piano terra in periferia dove non si temevano crolli.
Lì fummo ospitati tutta la notte sino al giorno successivo la mamma con le figliole, mentre io ritornai in Questura da dove giustamente i poliziotti di servizio si erano allontanati per recarsi presso le proprie abitazioni. Solo il piantone e il centralinista erano rimasti al loro posto. Il questore, sessantaquattrenne, si era rifugiato nel suo alloggio con la moglie. Li trovai seduti l’uno affianco all’altro e terrorizzati non riuscivano a parlare. Li convinsi ad uscire e a portarsi nel cortile della caserma.
Le comunicazioni telefoniche erano interrotte e ciò rese difficoltoso avere notizie in merito al terremoto e all’epicentro. A questo punto feci intervenire il personale radiotelegrafista che, a bordo di un automezzo attrezzato con apparecchiature ricetrasmittenti, riuscì a mettersi in contatto con la Prefettura di Potenza da cui giunsero notizie terrificanti che furono approfondite nei giorni seguenti. Il mio collega della Polizia Stradale, con le sue pattuglie si spostò in direzione di Potenza dove c’era bisogno di soccorso urgente e, mentre si dirigeva in quelle località, comunicava via radio il disastro e le vittime provocati dal sisma. Nei giorni successivi anch’io fui mandato a Potenza per concorrere alle operazioni di soccorso.
Bellissima testimonianza.
RispondiEliminaGrazie da parte di tutti quelli che c'erano, di quelli che hanno ancora le macerie intorno e di chi lavora per togliere tutte le macerie...
Elimina"Puntuale e lineare come il Sig Pietro e come è la memoria dei traumi vissuti. Chi lo sa se fra quarant'anni un ventenne di oggi riuscirà a dire cosa faceva il giorno della scoperta della parola lockdown e della percezione della pandemia che ci ha cambiato la vita. Io so che per me la parola terremoto significa, 40 anni fa,la piantana del salotto e le piante che camminavano e noi corsi per le scale e rimasti con gli altri condomini tutta la notte fuori.faceva freddo e avevamo il cappotto sui pigiami."
RispondiEliminaGrazie per aver condiviso il ricordo di quei giorni drammatici che difficilmente cadranno nell’oblio per i lutti e il dolore che hanno prodotto. Perdere la memoria di ciò che un tempo è stato significativo mi sembra irragionevole e immorale.
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