A tutto Est: in Giappone

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30 lug 2014

18/6 - 05/7 2014: appunti dalla Palestina - 03


Gerusalemme, 4 luglio 2014

Il mio stomaco sta bruciando, si sta espandendo, sento rimbombare l’aria, il respiro. Oggi li ho visti e sentiti. In terrazza con voi e la giornalista e sua figlia. Noi intorno ad un tavolo con la cena preparata da Fef'. Io avevo già mangiato, era il giorno del semi-colloquio di lavoro. Voi mangiavate e cercavo di avere fame per impegnare il corpo, visto che la testa aveva le biglie dentro. Però fame no, neanche un po’. 

Avevo mangiato con Ad per quella chiacchierata a cercare di capire se qui me ne posso venire a vivere per un po’ e starci.
Appuntamento alle 19:00 a porta Damasco, mi lasciate vicino il Jerusalem Hotel, è presto c’è un po' di tempo prima dell’iftar e finalmente io ci sono qui a quest’ora; che in questi giorni dicevano di evitare di venirci. Il cannone non ha ancora sparato, ma il sole sta andando giù e fuori è tutto arancione. Le mura di porta Damasco sono di quella pietra che sicuramente un salentino direbbe “ma è come a Lecce!” Nella piazza davanti alla porta c’è una scalinata e i banchini si preparano. Tra poco chi potrà mangiare lo farà e lo farà in strada, all’aperto, nonostante tutto. Io mi stupisco perché immaginavo che si facessero delle gran tavolate in casa.

“Macché, si sono viziati questi. Però, i dolci con il formaggio dentro sono buonissimi, possibile che non li conosci?” 
“No, mai provati!”

Sono quasi le 19:00 e io faccio qualche scatto in bianco e nero con la contaflex. Non ce la faccio, le cose che accadono sono troppe in questi minuti e non faccio che girare la testa ovunque.
Entrano le persone in città vecchia, attraversano la porta di Damasco.
Escono le persone dalla città vecchia, attraversano la porta di Damasco.
Arrivano i militari israeliani verso la città vecchia, si allineano davanti alla porta di Damasco.
Io resto sulla scalinata e respiro i profumi della carne arrostita e del pane caldo, poi le bancarelle con le mutande da uomo e i fiori finti, mentre mi sento in mezzo: tra l’inizio della festa e l’inizio della guerra. 

Sono le 19:00 e acchiappo il telefono, chi dovevo incontrare mi chiede se ho una maglia rossa e allora abbasso la testa e lui è lì. Piacere, piacere e passiamo attraverso la porta di Damasco, mi ritrovo a camminare velocemente per la città vecchia, ci dirigiamo in 4 spediti verso chissà dove. D’un tratto siamo in 4 e io non me ne sono accorta. Una Lei molto bella ci porta dritti nel quartiere armeno, un Lui molto buffo ci dice che è colombiano, cresciuto in Francia e col nome russo. La signora del negozietto ci dà delle birre, così tutti comprano la Taybeh e io prendo la Mythos. Ho conosciuto il Sig Taybeh e non mi è piaciuto proprio, invece la greca Mythos ormai rappresenta il sapore di questa Gerusalemme 2014. Poi ognuno prende noccioline, pistacchi, patatine e di nuovo destra, sinistra, dritto, vicoletto, siamo dentro dove tutto sta chiudendo e si scivola coi sandali sulle chianche bagnate; rifiuti ovunque e odori di carne, piscio, acque, spezie, sudori. Fuori! Fuori dalla città vecchia all’iftar, fuori a mangiare, bere, sparare, lanciare le pietre, incontrare e nascondere, poi pregare e a volte anche soltanto stare, come i ragazzi della scalinata che stanno lì e non so che futuro possano avere. Fuori! Di giorno in città vecchia, di sera chissà in quale fuori.
Spediti noi adesso saliamo le scale e saliamo sul tetto di un grande edificio dove il tetto è una vasca per raccogliere l’acqua piovana e, come per le pietre di porta Damasco, un pugliese si sentirebbe su un tetto familiare. Dopo aver sistemato le noccioline, distribuiteci le birre, mi accorgo che davanti a noi c’è il monte degli ulivi e c'è...“Cos’è quella costruzione blu con la cupola dorata?” mi chiede il Lui-buffo. Io credo scherzi, invece no; è giovane ed è in vacanza lì, appena arrivato fa couchsurfing dalla Lei-bella, australiana e cooperante dell’UNRWA. Lui dice rimarrà “in the area” fin quando non gli finiranno i soldi. Da una parte provo piacere, ci sono ancora ventenni che hanno voglia di andare in giro così. Dall’altra temo per lui che se non conosce la cupola d’oro, non sa che la storia gira tutta lì, qui.
Così ora tutti sappiamo di avere il culo su un tetto armeno, poco più in là due bambini ebrei coi riccioli e la kippa stanno giocando e chissà cosa gli hanno detto sulla terra che abitano, e poi di fronte, la grande moschea. Per un attimo tutto si ferma e di nuovo forte emerge la sensazione che qui l'origine c'è stata da qualche parte.

Poi fuori, all'ifatr, oggi, come ieri, come 10, 20, 30, 60 anni fa, si spargono fiumi di ingiustizie e i diritti si vendono ai mercati internazionali.
E sento uno scoppio.




contaflex zeiss ikon - Kodak 400TX

27 lug 2014

18/6 - 05/7 2014: appunti dalla Palestina - 02



Gerusalemme, 28-29 giugno 2014

la luna del 12 luglio 2014 dall'Italia - Nikon D70

La strada che da porta Damasco va al monte degli ulivi verso il muro di Abu Dis ha una cosa che è speciale: la città vecchia sulla destra e la luna che ci sta sopra.
In questi giorni di Urano è iniziato il Ramadan. Kav e Fef’ me lo hanno detto loro che esiste una commissione in Arabia Saudita deputata a guardare la luna e a dare il via quando sorge nuova nuova. E mi sono immaginata quest’uomo barbuto scurissimo con la jallabya bianca, in cima a un monte e un mega cannocchiale. E giù la folla ad attendere. Poi me lo sono immaginato che alza il braccio, scoppia il fuoco colorato e poi l’inizio dei lavori…

Dicono che la luna del 12 luglio sarà speciale, ma c'è tempo ancora.

Anche questo Ramadan qui in Palestina è speciale. Purtroppo. 
Si confondono i fuochi d’artificio con le “bombe sonore”.

Io avrei voluto vederlo il primo giorno di Ramadan ad Al Quds di Urano. Invece la combriccola straniera (ma molto locale nel suo intimo) composta da Kav’, Fef’, Moskah e Saret’, ha preferito il mar mediterraneo a nord di Tel Aviv. 
“Tanto ad al Quds poi ci torno e me lo faccio venire a noia il Ramadan” ho pensato. Così ho seguito la combriccola verso il mediterraneo. E’ forte la combriccola. C’è anche Mr. B’ con noi, che spesso annuisce con un “right” inglesissimo mentre fa ciondolare in avanti la testa. Mr. B’ usa le question tags, non le sentivo dal liceo. Ci mette un sacco a fare ogni cosa e mentre la fa usa il tempo per chiedersi se sia il caso o no. Se poi chiede aiuto a Kav’ allora possono passare anche 40 minuti prima di capire come mettere il primo picchetto alla tenda.

A Palmachim (che mi sa di Palm beach), si può fare campeggio libero. 

E questo è un altro motivo dei vari motivi per seguire la combriccola e vedere la luna nuova da lassù: il grado di libertà a Tel Aviv. 

La spiaggia è in un Parco Naturale, paghiamo 30NIS e la tipa all’ingresso sta mangiando una pera; non degna di uno sguardo Moskah che le da’ i soldi. Io temo addirittura che le sputi in faccia i semi della pera. Solo che se lo fa, poi se lo ricorderà per il resto della sua vita.
E’ la fine dello shabbat, le spiagge si liberano di gente e restano grandi isole di plastica, che quasi non ci credi che siano venuti e abbiano detto “Buongiorno questa ora è casa nostra” e poi che non la tengano pulita.

“SEEEEE. Allora non hai capito?"

"No, evidentemente"
I pulitori di spiaggia arrivano con le camionette. Però arrivano di notte, coi fari accesi che ti entrano nella tenda. Svuotano i cestini e lasciano le isole di plastica. Quelle le toglieranno il giorno dopo i pulitori appiedati. 
La prima luna di Ramadan a Tel Aviv era dunque sul mare ed era quella giusta, minuscola, piccolissima e chissà dov’era. Io la immaginavo tra il barbecue di pollo arrostito, le verdure grigliate e la sabbia che ti entra in bocca; per forza, se vuoi sempre parlare o ascoltare a bocca aperta. Se poi ridi, è la fine.

Lei e Lui ad un certo punto si sono avvicinati a chiederci qualcosa. Non erano come quelli di prima che a stento hanno detto “Hi!” e volevano della legna. Questi sono gentili  e parlano arabo. Lei è incinta, Lui è sorridente. Ci chiedono del pane e noi gliene diamo un solo pezzo della nostra bustona piena comprata a Beit Hanina.
Chissà la luna dov’è andata a sorgere, quando finalmente perdo i sensi e mi risveglio a suon di racchettoni.
Sono le 6:15 e lo Stonk Stonk di questi che non hanno di meglio da fare lo affogo nell'acqua. Mi tuffo. L'acqua è bellissima, pulitissima. Riconosco il sapore del mediterraneo. Sento dei rumori fortissimi, sembra un aereo, ma non si vede. Poi un altro, penso che forse sto sognando e di non essere davvero lì dove sono. Mi avvicino a rana verso la riva e sento della musica, metto a fuoco, sotto un ombrellone ci sono altri ragazzi che giocano a racchettoni e un terzo, con un microfono e un amplificatore, sta cantando. Alla mia sinistra, Tel Aviv nella nebbia; alla mia destra, una scogliera che separa questa baia da un'altra. Ancora questi aerei senza che io li veda. Penso che potrebbe essere di tutto, anche un sottomarino. Mi vengono in mente i racconti di ieri al barbecue delle esercitazioni di Moskah con la maschera antigas. Mi rituffo e prendo la via parallela alla costa. Non voglio uscire. Continuo a osservare dal mare cosa succede sulla terraferma. Vedo una grande tenda, sembra di lungo-degenza. Lei è incinta. Sono i ragazzi del pane! Esco e mi fanno ciao con la mano. 
Siamo tutti al bar ad aspettare un caffè. Così i due vuotano il sacco o meglio, raccontano che vivono lì da 5 gg, in spiaggia, sono scappati e scampati alle rispettive famiglie che li hanno ripudiati. Perché Lei ama Lui e Lui ama Lei, solo che Lei aspetta un figlio da Lui, ma ne ha già due da uno che la picchiava. Anche Lui ha due figli ma da una che non picchiava. Adesso stanno lì a Palmachim, in Israele dove paradossalmente è più sicuro che a casa loro. E noi gli abbiamo dato un solo pezzo di pane della nostra bustona piena zeppa.

Quando usciamo dal parco, ancora con la sabbia in bocca, il sole tramonta e la luna sarà un pochino più grande stasera. Io non capisco cosa siano quei camion con il rimorchio alzato dalla parte sbagliata.
Poi incollo il naso al vetro, quando mi dicono che è una contraerea.
Il grado di libertà del campeggio libero a Tel Aviv.

"Arrivati alla contraerea, sempre dritto poi c'è il cartello sulla destra, lo vedi, quella è l'entrata principale al parco. Lì puoi campeggiare liberamente."

Quando rientriamo a Gerusalemme è appena scoppiato il cannone dell'iftar.
Noi, lo faremo a ovest col sushi, tanto la luna a destra sulla città vecchia, non ce la toglie nessuno andando verso Abu Dis.




contaflex ikon zeiss - KODAK 400TX

Al Quds è il nome arabo di Gerusalemme
L'Iftar è il pasto serale consumato per interrompere il digiuno quotidiano durante il Ramadan

8 lug 2014

18/6 - 05/7 2014: appunti dalla Palestina

Stavolta c'era vita su Urano. Bè, in effetti quando mai non c’è stata? Ma stavolta di più. Il diario scoppia, la testa pure. Per forza. Sta succedendo quello che per il mondo intero è normale che accada, evidentemente. Talmente normale da sentirsi legittimati a rimanere a guardare. Io ho avuto vergogna per questo mondo che guarda e basta. Se resti, un modo lo trovi, sennò vattene.


Bene, qui è così, sennò vai a lavorare alle Hawaii.

Fai sempre quello che ti dice il palestinese, segui lui, chiedi.

Lo vedi che quando guido metto il braccio fuori e parlo arabo?

L’importante è che non ti scambino per settler.

Su Urano sta per scoppiare la terza intifada.

E gli shabab si sono dati una mossa.
Alhumbdulillah?

Quando scoppia non sempre è il fuoco d’artificio del Ramadan.
Se lo è, lo usa lo shabab ad altezza uomo, perché oltre le pietre, i vetri, il fumo nei cassonetti...

Se i soldati passano da qui tra gli ulivi per prendere di sorpresa gli shabab, casomai offritegli da mangiare.
Meglio i soldati dei settlers, anyway, since they should be more cleaver.


Da una parte gli shabab che vuol dire “ragazzo, capetto”.
Dall’altra, dietro l'angolo, il bambino che vuol dire bambino in tutto il mondo.

nikon D70 f35-70


le altre notizie da URANO


19 gen 2014

Urano: NURA



direzione Ramallah, 3 dicembre 2013

Oggi ho preso il service per andare a Ramallah. Mi ci ha portato Jal, prima di portare i figli a scuola. Solo che mi ci ha portato tardi e qui a Gerico il service parte solo quando si riempie. Per andare a Ramallah da Gerico i minuti sono 45, se tutto va bene. Non so come si chiami l’autista, so che io i soldi glieli ho dati subito e il service è vuoto. Ho contato i posti: 6 persone ancora prima di partire e dopo di me è salita Nura, che in arabo significa “la luce”. Nura sta studiando per diventare infermiera. Come me, ha fretta di arrivare a Ramallah: io alle 9:00 all’autorità Palestinese di gestione delle acque, lei a scuola.
Nura non parla bene inglese, dice che è difficile, io le dico che l’arabo è difficile e lei cerca di dirmi che come per me lo è l’arabo, per lei lo è l’inglese. Non fa una grinza. Dipende da che lingua parti (come mi ricorda sempre Vani che adesso studia il Russo) evidentemente partiamo entrambi da lingue sfigate.
Poi sale un signore (siamo 3!) completo marrone e la kefia rossa in testa. Lo capisco benissimo che sta chiedendo a Nura informazioni su di me, Nura mi sorride imbarazzata, capisce che sto capendo e non sa rispondere al signore: non sa nulla di me, solo che devo arrivare alle 9:00 a Ramallah come lei. Poi però me lo chiede ‘Aina anti? (“da dove vieni?”). Parliamo un po’ a gesti, un po’ invento con l’arabo e un po’ quindi ci capiamo. E’ giovane, avrà 20 anni, bellissima, il velo le mette in risalto occhi e bocca, poi qui hanno i denti bianchissimi e l’eyeliner nerissimo. Assomigliano tutte a mia sorella e a mia madre e io, se posso, questo lo dico alle persone, così poi mi chiedono se sono del maghreb e io posso dire “quasi, sono della Puglia” e da lì parte una lunga descrizione dell’Italia e poi 90/100 in Puglia ci sono andati, perché a Bari c’è lo IAO (Istituto Agronomico d’Oltremare) che è pieno di palestinesi. I discorsi si fanno più complicati: che lavoro fai, quanto resti qui, perché andrai in Giordania e allora cominciamo a parlare e a scrivere sul vetro appannato le parole, è divertente e il tempo passa però e il signore con la kefia rossa ci guarda e da dietro sento il fiato sul mio collo che poi forse è la sua ansia di capire chi sia questa vestita col cappotto buono e quella cartellina da lavoro su un service polveroso. Dice a Nura di sedersi accanto a me, così lui va al posto di Nura e può stare più comodo a guardarci. Cazzo siamo proprio in ritardo, sono un po’ in ansia, devo arrivare in tempo e il capo dei capi al telefono mi dice che non ce la farò mai se non parto subito. Mi sa che devo scendere e lasciare Nura, ma lei mi dice che stiamo per partire, mi dice che vorrebbe andare a Venezia a sposarsi e mi chiede se lì le macchine ci possono camminare, insomma, come funziona a Venezia con tutta quell’acqua. E io vorrei raccontarle del fascino della laguna e del ponte dei sospiri, ma è tardi e devo scendere a prendere un taxi e poi laguna è difficile anche da descrivere, visto che non so dirlo in arabo…uff che casino la lingua, i pensieri e i service che non partono. Intanto a Gerico fa caldo adesso, siamo 250 mt sotto il livello del mare a uno sputo dal mar morto, quindi non solo arriverò in ritardo al Ministero, puzzerò pure! Le faccio il disegno della città, dell’acqua intorno e del ponte, ma la storia come gliela racconto? E poi, che si racconta del ponte dei sospiri a una che vive con un muro intorno?
Scendo per prendere un taxi, è tardissimo, l’autista mi restituisce i soldi, ma il service s’è riempito proprio ora, altri 3 sono entrati. Rientro, restituisco i soldi e mi siedo di nuovo accanto a Nura. Puzzo. Comincia la salita verso Ramallah, Nura da quel momento in poi non parla più, guarda dritto davanti a sé, con lo sguardo di chi dice “dai, dai, corri”. Mi piace questa cosa di stare in silenzio, tutti guardano fuori, solo l’autista chiacchiera al telefono e mangia, tutti noi ascoltiamo la risalita dal livello del mare. Chi più chi meno, quella strada la sa a memoria, anche io quasi, tranne l’ultimo pezzo…il service entra in una nuvola bianca di strada sterrata in via di costruzione. Chiedo a Nura, lei non riesce a spiegarmi, ma dice una parola inconfondibile “Israeli” e allora capisco: l’ennesima deviazione, ma già puzzo, se poi al ministero ci devo andare col fegato incazzato…e non mi ci soffermo troppo, però finalmente mi fermo, siamo al capolinea, la temperatura si è abbassata di 10 gradi, saluto Nura mi dice che è stata contenta di avermi incontrato e mi chiede se sono su Facebook.

qui di Osam, qui di Salekh

18 dic 2013

Urano: OSAM

direzione Gerico, 2 dicembre 2013
digitale Lumix FZ28

E' Osam che mi porterà al ponte King Hussein (o di Allenby), al confine con la Palestina.
Osam è palestinese di Jenin, anche se non c’è mai stato a Jenin. Fa parte di quel 50% della popolazione giordana che dal '48 ha dovuto lasciare la Palestina. Osam non avrà più di 30 anni e dopo l’esperienza con Salekh, mi sono seduta dietro a destra apposta per studiarlo bene ed eventualmente scendere. Scendere? Ma se sono al limite coi tempi per arrivare in orario a Gerico! Ho un'ora di taxi e tre confini da passare e chissà stavolta quanto mi tengono a quello israeliano. Perché ce l'ho fatta a fare casino coi fusi orari, come prevedevo. O meglio non io, è che il Governo Giordano quest’anno ha deciso di non cambiare l’ora, così il padellaphone-superfigo che si regola da sé mi dice che sono le 6.00, quando invece sono le 7.00 e io alle 7.00 ho appuntamento con Osam. Tuttavia grazie all’ansia da viaggio, mi sveglio 10 minuti prima e anche stavolta riesco a lavarmi, raccogliere gli oggetti e catapultarmi alla reception alle 7.00 e collezionare il primo “Good morning, sir” (ma questa è un'altra storia: io uomo all'estero). L’uscita da Amman manco me la ricordo, fa freschetto e ho fame, alla fine ieri non ho cenato - troppo tardi, tutto chiuso - né colazione stamani. E ieri che da Salekh sognavo di arrivare, la cena e...

Osam è dolcissimo, moro, magrolino, con la barbetta, un po’ incazzato col mondo, fuma e fuma, guarda fuori dal finestrino e fa no con la testa lamentandosi di quel deserto che abbiamo accanto. Mentre io quel deserto me lo sto proprio godendo e mi viene in mente Hamad quando l'anno scorso mi raccontava che quella era la strada dei biligrini per la Mecca.
I punti di vista di chi sta dentro e chi sta fuori.
Osam, mentre apre e chiude il finestrino 10 volte per il fumo e per il caldo che inizia a sentirsi (si scende! Si scende sotto il mare!) mi chiede da dove vengo, chi sono, cosa vado a fare in Palestina, se mi piace la Giordania. Sembra che voglia una spalla che gli confermi che la Palestina sia meglio, sì certo è occupata, ma la Giordania è troppo, troppe cose, case, banche, gente, è cara "vedi? queste sigarette costano 4 dinari e noi ne guadagniamo 400 al mese". Rifletto sul fatto che il fumo sia un vizio, un lusso e il lusso si paga, ma taccio. Osam dice che lui ha tanti fratelli e il tassista proprio non voleva farlo. Un giorno a Jenin ci tornerà...e poi silenzio. In quel silenzio approfitto per mangiare lo snack al cioccolato rubato nel frigo-bar dell'albergo.
“Ma tu Gheddafi lo conoscevi?”
La domanda mi lascia di stucco.
Gli dico “certo”, laconicamente.
Faccio parlare lui e mi racconta di quella volta in cui Gheddafi passando da lì disse che la Giordania era una vergogna, che lo Stato doveva aiutare i cittadini e non i cittadini lo Stato.
Silenzio, Osam s'è incazzato e si accende un'altra sigaretta e mi guarda dallo specchietto.
Io gli dico che in Italia è uguale, che spesso preferisco fronteggiare le ingiustizie dei paesi stranieri che quelle italiane. Gli dico che sto studiando arabo per sentirmi ancora più araba, perché sì, nel sud Italia noi siamo arabi e mangiamo cose simili, parliamo un sacco, facciamo un casino, diciamo troppe cose e...
E manca poco all’arrivo ad Allenby. Il deserto accanto scorre ancora, tutto giallo e marrone, le orecchie tappate, siamo a circa 400 sotto il livello del mare e in lontananza la Palestina, Gerico e le sue palme da dattero. E mi viene in mente ancora Hamad durante il nostro giro giordano, che ogni santa volta mi diceva “La vedi quella? E' Gerico”. Sorrido e penso che semmai un giorno leggerà questo post, sorriderà o riderà proprio di cuore per come è lui, perché ricorderà di quando poi glielo dissi che..."Hamad! E' la decima volta che me lo dici! Ancora??...Sai cosa? Ma secondo te, quella lì è Gerico?"

Ci siamo, Osam accosta e mi trasferisce ad un altro tassista, manca 1 Km per arrivare ai 3 check-points, ma Osam fino lì non ci può andare, è giordano e non ha quel permesso. Inizio a sentire puzza di territori e di confini e non solo geografici...
Mi da' le valigie e: “Take my number, when you come back, call me.” Pausa. "Because I like you”. “Me too”, rispondo di getto e penso che se fossimo stati due inglesi non ce la saremmo mai detta questa cosa, non in questi termini, troppo forte, troppo diretta. Ma noi siamo arabi e il nostro inglese è tanto per capirsi e subito.
Prendo il numero e gli prometto che lo chiamerò di sicuro al mio rientro in Giordania.
Lo farò davvero.
Inchallah.
Inchallah? Qui tutto così. 
Se Lui vuole.
Bon, io voglio.

13 dic 2013

Urano: SALEKH

Amman, 1 dicembre 2013


Amman - LUMIX FZ28
Eppure Valentina lo aveva detto di prendere i taxi gialli, quelli ufficiali...li trovi appena esci sulla sinistra
Aeroporto Queen Alia, non so se mi spiego. Bello, grande pulito, in un paese senza guerra e con un Re che, chissà come, se li tiene buoni tutti quelli lì ai confini.
L’ultima volta Amman l’avevo vista solo in aeroporto, appunto. Tre anni fa, ci spesi 6 ore, in arrivo da Beirut e direzione Tel Aviv. Mi portarono anche in camerino per il controllo, pura formalità, una toccata di tette e una di cosce dalla poliziotta poi domanda su cosa avevo fatto in Libano e via libera. Ricordo che per ammazzare il tempo me ne andavo in giro per gates. Avevo visto Petra dall'alto durante l'atterraggio e giurai di tornarci a visitarla prima o poi. Al 4 partivano per gli Emirati Arabi e la sala d’attesa era nera di vestiti sintetici su donne appesantite da 'sto mondo di regole in cui sono nate. Di alcune si vedevano solo gli stecchetti degli occhiali, di altre manco quelli.
Stavolta invece è notte, non vedo niente sotto di me, avverto solo tanta voglia di toccare un letto, perché domani si va a Gerico e ieri ho dormito 4 ore.
Visto, soldi e via fuori.
Sono le 23.00 (ma lo saranno davvero o no? Mi incasinano i fusi orari e le ore legali e solari). Esco, vado a sinistra, mi assalgono i tassisti “taxi taxi” e i dico “how much?” Sparano alto, negozio, arrivo a 22 JOD (come mi aveva detto Valentina) mi mettono in mano una ricevuta già compilata e la mia valigia è già nel bagagliaio. 
Salekh, si chiama Salekh l’autista maiale che inchioda davanti ad una turista in minigonna che gli attraversa la strada, la segue con lo sguardo e, appoggiato al volante, esclama “Wallaaaah!” Io, che cercavo di dire in arabo dove andare - Salekh non parla inglese - invece entro in confusione e ho il vuoto, non credo ai miei occhi né alle mie orecchie. Ma così spudoratamente? Dove sono capitata? Ma questi non erano musulmani? E poi lavorano in aeroporto e, Cristo, abbasso il finestrino e il taxi non è giallo, è bianco. Cazzo! Non è ufficiale...Ma ormai ci sono. Chissà chi è questo. Ormai c’è, lui davanti, io dietro. Provo a distrarmi, penso al fuori, sento il medio oriente sotto le ruote, i primi odori e la stanchezza aumenta, di pari passo con l'eccitazione. Fuori è notte, le luci lontane di Amman, partono i pensieri che tuttavia non vanno molto lontano: arriverò in albergo, mangerò finalmente poi dormirò e domani prima in banca e poi al ponte di Allenby, dove mi “apriranno” un po’ come al solito, ma dopodiché sarò finalmente in Palestina, laddove voglio essere. E nel turbine di questi pensieri il tassista inchioda di nuovo, stavolta mi chiede se può caricare una donna, ancora? La povera è lì sotto una pensilina buia. Dico di sì, lui le dice sali, lei prima guarda dietro, vede me e poi sale. E’ palese che non si conoscano, è palese che Salekh ci stia provando. Quando un uomo fa il cretino con una donna, non c'è lingua che tenga e questo sta facendo il cretino.
Realizzo che a questo ancora non gli ho detto in che albergo accompagnarmi né il cerchio (Amman è fatta a cerchi!) cerco di ricomporre la frase in arabo, la dico e…pausa…PUAHAAHA…ridono, lui più di lei. Che te ridi? non lo so dire. Poi lui dice "scusa, ma che lingua è?" "Arabo fusha", rispondo, quello che mi insegna Issam, quello con cui potrò leggere Corano e Al Jazeera, ma che evidentemente non posso usare coi tassisti…
“Fusha? Wallah!” (Arabo ufficiale? Caspita!)
Mi sta oggettivamente prendendo per il culo, il cretino.
Al Qasr, AL Qasr Hotel. Non capisce. In effetti io dicevo (Al Qsar!) Shimsani...zona Shimsani.
Ride, ma capisce finalmente, molla la donna, le guarda il culo mentre scende dalla macchina, lei dice Khalas e scende. Khalas significa basta e finalmente arrivo e glielo dico pure io Khalas. Mi chiede la mancia, ma le indicazioni di Valentina dicono niente mancia ai tassisti…figuriamoci a quelli come te, aggiungo.
Allora scendo, mi da’ il suo numero di tel, prende la valigia, allunga la mano per stringere la mia, ma io faccio finta di niente, prendo la valigia, mi giro andando verso l'entrata dell'hotel. Poi mi sento una maleducata, insomma, manco in faccia l'ho guardato e mi giro: si sta grattando i coglioni e, stupito del mio tornare indietro verso di lui con lo sguardo, non trova di meglio da fare che mandarmi un bacio volante.
Bruniz me lo ha detto a Gerusalemme “Ma che vai da sola a mezzanotte ad Amman?”
Ma veramente Valentina….

1 dic 2013

Ritorno su Urano


Pronti, via! Ritorno su Urano.
"E' quell'ansia positiva pre-partenza che diceva quello scrittore. Me lo hai detto a me prima che partissi per l'Irlanda." Mi dice Illy, che da quando vive in Irlanda è contorta, ma io la capisco.
"Sì, quella, Illy, quella paura lì."
"Vado e torno allora"
"Inchallah'"
"Inchallah"



4 mar 2013

4 03 2013 - Notizie da Urano

4 Marzo 1943 by Lucio Dalla on Grooveshark

Betlemme non era una tappa di lavoro prevista durante la mia trasferta su Urano, ma quando il capo dei capi mi ha proposto di accompagnarlo ad un pranzo di lavoro, non ho esitato un minuto e ho detto "Certo! Così vedo dov'è iniziato tutto". Lui non ha detto nulla e siamo partiti.

Per andare da Ramallah a Betlemme un tempo ci volevano massimo 20 minuti di macchina. Ramallah è in area A (sotto completo controllo palestinese) così come Betlemme. Tuttavia, tra due aree A spesso c'è un'area C (a completo controllo israeliano) e questo costringe a cambiare strada. I Palestinesi adesso ci mettono quasi un'ora per andare da Ramallah a Betlemme. Durante il viaggio si percorre una strada di salite e discese a tratti stretta stretta, a tratti trafficatissima, taxi, macchine, autobus e camion, la usano tutti visto che è l'unica percorribile. Il capo dei capi va veloce, sembra avere fretta, forse siamo in ritardo per l'appuntamento, penso...

Lumix FZ28 - Ezaria
Macché, è proprio che i Palestinesi corrono e sorpassano da destra. Mi permetto di rimproverare il capo dei capi -lo so che non sta bene- ma quel camion mi sta entrando nel muso! Il capo dei capi mi dice di stare tranquilla e che comunque ci farà più attenzione e che in fondo ho ragione. Mentre penso a quanto sia ruffiano, è già salito su una rotonda, ha inveito contro il service che sta facendo scendere le persone e una macchina ci ha suonato perché non siamo schizzati via allo scattare del verde. Mi sa che mi arrendo e mi metto a fare un sacco di domande sui luoghi con l'intento di distrarmi.
Prima di arrivare a Betlemme si passa da Ezaria, che significa "alzati Lazzaro” e da wadi Nar, che significa la “valle del fuoco”. Wow! Sento il catechismo riaffiorare. Quei pomeriggi a fidarsi di qualcuno che ti raccontava quella storia e che mai avresti messo in discussione...Mentre mi stupisco e ricostruisco i fatti, il capo dei capi mi dice che saliremo in cima ad una città molto famosa che si chiama Beith Sahour. Proprio lì pare che un angelo avesse annunciato la nascita di Gesù ai pastori e che poi Elena avesse fatto costruire un convento che adesso è conosciuto come la grotta del pastore. Poi, mi indica il luogo in cui un tempo c'era la palma sotto la quale la Madonna partorì. Lui non sa che in questo modo mi sta distruggendo l'immagine di quella storia che mi raccontavano, quella della grotta, dell'asino e del bue...niente di tutto questo: Maria ha partorito sotto una palma da cui piovevano datteri e di cui si cibava per recuperare le forze dopo il parto.
...
Mi distraggo dallo shock di questa notizia solo quando vedo che il capo dei capi guarda a destra intensamente, ma che cerca? Siamo sul ciglio della strada, per fortuna ha rallentato, per fortuna... Mi dice di guardare alla mia destra, sorride, dice contento "quella è Gerusalemme est, noi Palestinesi almeno ce la guardiamo da qui, anche se da lontano" e mi dice che a seconda della luce, possono vedere perfino la cupola d'oro! Sono in imbarazzo, allora gli racconto che anche a me hanno negato l'accesso alla cupola d'oro l'anno scorso. Gli racconto che era venerdì 27 gennaio e un soldato mi mise la mano sulla spalla chiedendomi se fossi araba, io dissi di no e allora mi disse di allontanarmi, perché il venerdì la spianata delle moschee è chiusa ai turisti e aperta ai pochi Palestinesi ammessi. Gli dico che allora decisi di andarmene sul monte degli ulivi per vedere la cupola d’oro - anche io da lontano! -Bellissima, imponente. Lui sta zitto e chissà che pensa, ma almeno ha ricominciato a guardare davanti e s’è messo in carreggiata.
Lumix FZ28 - da Beit Sahour si vede Gerusalemme


All'appuntamento arriviamo in orario e senza tamponamenti. Parcheggiamo davanti all'uomo dei falafel, cerco un accendino da comprare, non ne vendono, così un negoziante mi regala il suo. Mi guardo intorno, c'è una luce bellissima su questa città da cui si annunciò la nascita di un uomo che attraverso diverse storie ha dato una direzione alla Storia di popoli interi...

Lumix FZ28 - Beit Sahour 

La strada del ritorno l’abbiamo fatta a buio. Il capo dei capi ha voglia di musica italiana, tira fuori il suo cofanetto preferito e mette su "4 marzo 1943". Bisogna sbrigarsi, alle 22.00 il check point non lascia passare e dobbiamo fare il giro da Qalandia. Per 15 minuti non ce la facciamo...
Però, almeno così abbiamo ascoltato tutta la canzone.

27 feb 2013

Italia, amici, risposte e chissà che domande...

Un'amica che vive all'estero mi ha scritto oggi su facebook:
Io di'o solo una osa....visto la politica italiana...eri più siura in Israele...e te lo dio anche in pisano stretto!!!!
Io ho sottolineato che mi trovavo in Cisgiordania. 

Una collega che vive in Cisgiordania invece mi ha scritto che quando l'hanno chiamata dalla frontiera israeliana, per verificare che non stessi raccontando bugie, mentre tentavo di passare dalla Giordania alla Cisgiordania, lei quasi quasi avrebbe voluto sconsigliare il mio rientro e lasciarmi in Giordania...

Una collega-amica, che anche lei vive in Cisgiordania, mi ha scritto per mandarmi il suo CV perché vorrebbe rientrare in Italia e lavorare qui.

Capisco i loro istinti nei confronti di sé e di me dentro e fuori l'Italia e le ringrazio.

Io rifletto sul fatto che, da oggi, la confusione generale nel tornare e vivere in Italia aumenta ancora di più. Forse non bisognerebbe chiedersi neanche perché a questo punto, ma mi farebbe davvero schifo smettere di farmi domande.

Ho un altro caro amico che mi ha insegnato che dietro una buona risposta, ci vuole una buona domanda.

Oggi non la trovo la domanda, ma solo la risposta: mi sa che mi preparo a migrare di nuovo.

Lumix FZ28
Wadi Rum, Giordania




16 feb 2013

Notizie da Urano

http://www.sfondogratis.com/


Il sogno di Vani
Accettavi la proposta di S. di andare su URANO con una navicella spaziale. Tempo per andare: 2 anni. Solo voi due. Ti parlo e interagisco con te mentre stai già sulla navicella (tipo un missile per andare sulla luna), quindi in procinto di partire (la solita ansia dei sogni). Mi affidi qualcosa dell'Aikido (una bottiglia con un collo lunghissimo, vetro blu scuro, con decorazioni dorate giapponesi, che a me cadrà poco dopo, perché era in bilico sopra un suolo sconnesso, ma tu eri già via o comunque non potevamo comunicare).  Io faccio una corsa affannosa perché non potevi partire senza la cosa più importante: un diario. Te lo procuro e riesco a passartelo. Ora mi sento meglio. 
S. ovviamente, pilotava la navicella, si era procurata i soldi per comprarla e aveva ottenuto la patente. Mi spiegavi anche perché avevi deciso di andare e io cercavo di convincerti che tu ami la vita sociale e Urano è deserto e oltretutto due anni di quasi isolamento sulla navicella...(solo per andare)....però tu avevi le tue ragioni per andare, che non ricordo.

Io dico che Vani ha ragione a pensarmi in luoghi riconducibili ai pianeti. 
Sono a Ramallah, in Cisgiordania, un luogo che non è quello che ci fanno vedere. Sono solo 4 le ore di volo che separano l'Italia dalla Palestina, ma quello che trovi qui è davvero un altro pianeta. E ciò che lo rende tale è che è identico ai nostri luoghi, spiccicato: basta essere andati almeno una volta in sicilia, in puglia, in calabria, in campania, ve lo giuro! E' un posto testardo, sempre pieno di gente in strada, stanno in gruppo, parlano assai, la cosa semplice la incasinano, sopportano, è ingarbugliato, è fiero, è pieno di dignità, tradizioni cibi, costumi, religioni e saperi. Però è occupato, sorvolato, controllato, guardato e regolato da molta più gente con un sacco di saperi, doveri, costumi, cibi, testardaggine...ma con modalità e agire che non c'entrano niente di niente di niente.
Ma qui sanno sopportare, ci sanno convivere con la tensione, non mollano, monta anche la rabbia certo, quella che solo loro sanno avere e parlano parlano e parlano e guardano negli occhi sempre e per quanto possibile sinni fricano -come direbbero Carmine Abate e Lara- dei limiti dentro i quali vivono e prendono, usano, conumano e si godono quelo che hanno. Così, vivono lo stesso. 
L'insieme di queste due cose, fa di questo posto un altro pianeta?
Nell'immaginario notturno di Vani, mi sa.

Poi si sa, il bello dei sogni è che possono diventare qualunque cosa.
Lumix FZ28
Kobar, Palestine