A tutto Est: in Giappone

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19 gen 2014

Urano: NURA



direzione Ramallah, 3 dicembre 2013

Oggi ho preso il service per andare a Ramallah. Mi ci ha portato Jal, prima di portare i figli a scuola. Solo che mi ci ha portato tardi e qui a Gerico il service parte solo quando si riempie. Per andare a Ramallah da Gerico i minuti sono 45, se tutto va bene. Non so come si chiami l’autista, so che io i soldi glieli ho dati subito e il service è vuoto. Ho contato i posti: 6 persone ancora prima di partire e dopo di me è salita Nura, che in arabo significa “la luce”. Nura sta studiando per diventare infermiera. Come me, ha fretta di arrivare a Ramallah: io alle 9:00 all’autorità Palestinese di gestione delle acque, lei a scuola.
Nura non parla bene inglese, dice che è difficile, io le dico che l’arabo è difficile e lei cerca di dirmi che come per me lo è l’arabo, per lei lo è l’inglese. Non fa una grinza. Dipende da che lingua parti (come mi ricorda sempre Vani che adesso studia il Russo) evidentemente partiamo entrambi da lingue sfigate.
Poi sale un signore (siamo 3!) completo marrone e la kefia rossa in testa. Lo capisco benissimo che sta chiedendo a Nura informazioni su di me, Nura mi sorride imbarazzata, capisce che sto capendo e non sa rispondere al signore: non sa nulla di me, solo che devo arrivare alle 9:00 a Ramallah come lei. Poi però me lo chiede ‘Aina anti? (“da dove vieni?”). Parliamo un po’ a gesti, un po’ invento con l’arabo e un po’ quindi ci capiamo. E’ giovane, avrà 20 anni, bellissima, il velo le mette in risalto occhi e bocca, poi qui hanno i denti bianchissimi e l’eyeliner nerissimo. Assomigliano tutte a mia sorella e a mia madre e io, se posso, questo lo dico alle persone, così poi mi chiedono se sono del maghreb e io posso dire “quasi, sono della Puglia” e da lì parte una lunga descrizione dell’Italia e poi 90/100 in Puglia ci sono andati, perché a Bari c’è lo IAO (Istituto Agronomico d’Oltremare) che è pieno di palestinesi. I discorsi si fanno più complicati: che lavoro fai, quanto resti qui, perché andrai in Giordania e allora cominciamo a parlare e a scrivere sul vetro appannato le parole, è divertente e il tempo passa però e il signore con la kefia rossa ci guarda e da dietro sento il fiato sul mio collo che poi forse è la sua ansia di capire chi sia questa vestita col cappotto buono e quella cartellina da lavoro su un service polveroso. Dice a Nura di sedersi accanto a me, così lui va al posto di Nura e può stare più comodo a guardarci. Cazzo siamo proprio in ritardo, sono un po’ in ansia, devo arrivare in tempo e il capo dei capi al telefono mi dice che non ce la farò mai se non parto subito. Mi sa che devo scendere e lasciare Nura, ma lei mi dice che stiamo per partire, mi dice che vorrebbe andare a Venezia a sposarsi e mi chiede se lì le macchine ci possono camminare, insomma, come funziona a Venezia con tutta quell’acqua. E io vorrei raccontarle del fascino della laguna e del ponte dei sospiri, ma è tardi e devo scendere a prendere un taxi e poi laguna è difficile anche da descrivere, visto che non so dirlo in arabo…uff che casino la lingua, i pensieri e i service che non partono. Intanto a Gerico fa caldo adesso, siamo 250 mt sotto il livello del mare a uno sputo dal mar morto, quindi non solo arriverò in ritardo al Ministero, puzzerò pure! Le faccio il disegno della città, dell’acqua intorno e del ponte, ma la storia come gliela racconto? E poi, che si racconta del ponte dei sospiri a una che vive con un muro intorno?
Scendo per prendere un taxi, è tardissimo, l’autista mi restituisce i soldi, ma il service s’è riempito proprio ora, altri 3 sono entrati. Rientro, restituisco i soldi e mi siedo di nuovo accanto a Nura. Puzzo. Comincia la salita verso Ramallah, Nura da quel momento in poi non parla più, guarda dritto davanti a sé, con lo sguardo di chi dice “dai, dai, corri”. Mi piace questa cosa di stare in silenzio, tutti guardano fuori, solo l’autista chiacchiera al telefono e mangia, tutti noi ascoltiamo la risalita dal livello del mare. Chi più chi meno, quella strada la sa a memoria, anche io quasi, tranne l’ultimo pezzo…il service entra in una nuvola bianca di strada sterrata in via di costruzione. Chiedo a Nura, lei non riesce a spiegarmi, ma dice una parola inconfondibile “Israeli” e allora capisco: l’ennesima deviazione, ma già puzzo, se poi al ministero ci devo andare col fegato incazzato…e non mi ci soffermo troppo, però finalmente mi fermo, siamo al capolinea, la temperatura si è abbassata di 10 gradi, saluto Nura mi dice che è stata contenta di avermi incontrato e mi chiede se sono su Facebook.

qui di Osam, qui di Salekh

18 dic 2013

Urano: OSAM

direzione Gerico, 2 dicembre 2013
digitale Lumix FZ28

E' Osam che mi porterà al ponte King Hussein (o di Allenby), al confine con la Palestina.
Osam è palestinese di Jenin, anche se non c’è mai stato a Jenin. Fa parte di quel 50% della popolazione giordana che dal '48 ha dovuto lasciare la Palestina. Osam non avrà più di 30 anni e dopo l’esperienza con Salekh, mi sono seduta dietro a destra apposta per studiarlo bene ed eventualmente scendere. Scendere? Ma se sono al limite coi tempi per arrivare in orario a Gerico! Ho un'ora di taxi e tre confini da passare e chissà stavolta quanto mi tengono a quello israeliano. Perché ce l'ho fatta a fare casino coi fusi orari, come prevedevo. O meglio non io, è che il Governo Giordano quest’anno ha deciso di non cambiare l’ora, così il padellaphone-superfigo che si regola da sé mi dice che sono le 6.00, quando invece sono le 7.00 e io alle 7.00 ho appuntamento con Osam. Tuttavia grazie all’ansia da viaggio, mi sveglio 10 minuti prima e anche stavolta riesco a lavarmi, raccogliere gli oggetti e catapultarmi alla reception alle 7.00 e collezionare il primo “Good morning, sir” (ma questa è un'altra storia: io uomo all'estero). L’uscita da Amman manco me la ricordo, fa freschetto e ho fame, alla fine ieri non ho cenato - troppo tardi, tutto chiuso - né colazione stamani. E ieri che da Salekh sognavo di arrivare, la cena e...

Osam è dolcissimo, moro, magrolino, con la barbetta, un po’ incazzato col mondo, fuma e fuma, guarda fuori dal finestrino e fa no con la testa lamentandosi di quel deserto che abbiamo accanto. Mentre io quel deserto me lo sto proprio godendo e mi viene in mente Hamad quando l'anno scorso mi raccontava che quella era la strada dei biligrini per la Mecca.
I punti di vista di chi sta dentro e chi sta fuori.
Osam, mentre apre e chiude il finestrino 10 volte per il fumo e per il caldo che inizia a sentirsi (si scende! Si scende sotto il mare!) mi chiede da dove vengo, chi sono, cosa vado a fare in Palestina, se mi piace la Giordania. Sembra che voglia una spalla che gli confermi che la Palestina sia meglio, sì certo è occupata, ma la Giordania è troppo, troppe cose, case, banche, gente, è cara "vedi? queste sigarette costano 4 dinari e noi ne guadagniamo 400 al mese". Rifletto sul fatto che il fumo sia un vizio, un lusso e il lusso si paga, ma taccio. Osam dice che lui ha tanti fratelli e il tassista proprio non voleva farlo. Un giorno a Jenin ci tornerà...e poi silenzio. In quel silenzio approfitto per mangiare lo snack al cioccolato rubato nel frigo-bar dell'albergo.
“Ma tu Gheddafi lo conoscevi?”
La domanda mi lascia di stucco.
Gli dico “certo”, laconicamente.
Faccio parlare lui e mi racconta di quella volta in cui Gheddafi passando da lì disse che la Giordania era una vergogna, che lo Stato doveva aiutare i cittadini e non i cittadini lo Stato.
Silenzio, Osam s'è incazzato e si accende un'altra sigaretta e mi guarda dallo specchietto.
Io gli dico che in Italia è uguale, che spesso preferisco fronteggiare le ingiustizie dei paesi stranieri che quelle italiane. Gli dico che sto studiando arabo per sentirmi ancora più araba, perché sì, nel sud Italia noi siamo arabi e mangiamo cose simili, parliamo un sacco, facciamo un casino, diciamo troppe cose e...
E manca poco all’arrivo ad Allenby. Il deserto accanto scorre ancora, tutto giallo e marrone, le orecchie tappate, siamo a circa 400 sotto il livello del mare e in lontananza la Palestina, Gerico e le sue palme da dattero. E mi viene in mente ancora Hamad durante il nostro giro giordano, che ogni santa volta mi diceva “La vedi quella? E' Gerico”. Sorrido e penso che semmai un giorno leggerà questo post, sorriderà o riderà proprio di cuore per come è lui, perché ricorderà di quando poi glielo dissi che..."Hamad! E' la decima volta che me lo dici! Ancora??...Sai cosa? Ma secondo te, quella lì è Gerico?"

Ci siamo, Osam accosta e mi trasferisce ad un altro tassista, manca 1 Km per arrivare ai 3 check-points, ma Osam fino lì non ci può andare, è giordano e non ha quel permesso. Inizio a sentire puzza di territori e di confini e non solo geografici...
Mi da' le valigie e: “Take my number, when you come back, call me.” Pausa. "Because I like you”. “Me too”, rispondo di getto e penso che se fossimo stati due inglesi non ce la saremmo mai detta questa cosa, non in questi termini, troppo forte, troppo diretta. Ma noi siamo arabi e il nostro inglese è tanto per capirsi e subito.
Prendo il numero e gli prometto che lo chiamerò di sicuro al mio rientro in Giordania.
Lo farò davvero.
Inchallah.
Inchallah? Qui tutto così. 
Se Lui vuole.
Bon, io voglio.

13 dic 2013

Urano: SALEKH

Amman, 1 dicembre 2013


Amman - LUMIX FZ28
Eppure Valentina lo aveva detto di prendere i taxi gialli, quelli ufficiali...li trovi appena esci sulla sinistra
Aeroporto Queen Alia, non so se mi spiego. Bello, grande pulito, in un paese senza guerra e con un Re che, chissà come, se li tiene buoni tutti quelli lì ai confini.
L’ultima volta Amman l’avevo vista solo in aeroporto, appunto. Tre anni fa, ci spesi 6 ore, in arrivo da Beirut e direzione Tel Aviv. Mi portarono anche in camerino per il controllo, pura formalità, una toccata di tette e una di cosce dalla poliziotta poi domanda su cosa avevo fatto in Libano e via libera. Ricordo che per ammazzare il tempo me ne andavo in giro per gates. Avevo visto Petra dall'alto durante l'atterraggio e giurai di tornarci a visitarla prima o poi. Al 4 partivano per gli Emirati Arabi e la sala d’attesa era nera di vestiti sintetici su donne appesantite da 'sto mondo di regole in cui sono nate. Di alcune si vedevano solo gli stecchetti degli occhiali, di altre manco quelli.
Stavolta invece è notte, non vedo niente sotto di me, avverto solo tanta voglia di toccare un letto, perché domani si va a Gerico e ieri ho dormito 4 ore.
Visto, soldi e via fuori.
Sono le 23.00 (ma lo saranno davvero o no? Mi incasinano i fusi orari e le ore legali e solari). Esco, vado a sinistra, mi assalgono i tassisti “taxi taxi” e i dico “how much?” Sparano alto, negozio, arrivo a 22 JOD (come mi aveva detto Valentina) mi mettono in mano una ricevuta già compilata e la mia valigia è già nel bagagliaio. 
Salekh, si chiama Salekh l’autista maiale che inchioda davanti ad una turista in minigonna che gli attraversa la strada, la segue con lo sguardo e, appoggiato al volante, esclama “Wallaaaah!” Io, che cercavo di dire in arabo dove andare - Salekh non parla inglese - invece entro in confusione e ho il vuoto, non credo ai miei occhi né alle mie orecchie. Ma così spudoratamente? Dove sono capitata? Ma questi non erano musulmani? E poi lavorano in aeroporto e, Cristo, abbasso il finestrino e il taxi non è giallo, è bianco. Cazzo! Non è ufficiale...Ma ormai ci sono. Chissà chi è questo. Ormai c’è, lui davanti, io dietro. Provo a distrarmi, penso al fuori, sento il medio oriente sotto le ruote, i primi odori e la stanchezza aumenta, di pari passo con l'eccitazione. Fuori è notte, le luci lontane di Amman, partono i pensieri che tuttavia non vanno molto lontano: arriverò in albergo, mangerò finalmente poi dormirò e domani prima in banca e poi al ponte di Allenby, dove mi “apriranno” un po’ come al solito, ma dopodiché sarò finalmente in Palestina, laddove voglio essere. E nel turbine di questi pensieri il tassista inchioda di nuovo, stavolta mi chiede se può caricare una donna, ancora? La povera è lì sotto una pensilina buia. Dico di sì, lui le dice sali, lei prima guarda dietro, vede me e poi sale. E’ palese che non si conoscano, è palese che Salekh ci stia provando. Quando un uomo fa il cretino con una donna, non c'è lingua che tenga e questo sta facendo il cretino.
Realizzo che a questo ancora non gli ho detto in che albergo accompagnarmi né il cerchio (Amman è fatta a cerchi!) cerco di ricomporre la frase in arabo, la dico e…pausa…PUAHAAHA…ridono, lui più di lei. Che te ridi? non lo so dire. Poi lui dice "scusa, ma che lingua è?" "Arabo fusha", rispondo, quello che mi insegna Issam, quello con cui potrò leggere Corano e Al Jazeera, ma che evidentemente non posso usare coi tassisti…
“Fusha? Wallah!” (Arabo ufficiale? Caspita!)
Mi sta oggettivamente prendendo per il culo, il cretino.
Al Qasr, AL Qasr Hotel. Non capisce. In effetti io dicevo (Al Qsar!) Shimsani...zona Shimsani.
Ride, ma capisce finalmente, molla la donna, le guarda il culo mentre scende dalla macchina, lei dice Khalas e scende. Khalas significa basta e finalmente arrivo e glielo dico pure io Khalas. Mi chiede la mancia, ma le indicazioni di Valentina dicono niente mancia ai tassisti…figuriamoci a quelli come te, aggiungo.
Allora scendo, mi da’ il suo numero di tel, prende la valigia, allunga la mano per stringere la mia, ma io faccio finta di niente, prendo la valigia, mi giro andando verso l'entrata dell'hotel. Poi mi sento una maleducata, insomma, manco in faccia l'ho guardato e mi giro: si sta grattando i coglioni e, stupito del mio tornare indietro verso di lui con lo sguardo, non trova di meglio da fare che mandarmi un bacio volante.
Bruniz me lo ha detto a Gerusalemme “Ma che vai da sola a mezzanotte ad Amman?”
Ma veramente Valentina….