A tutto Est: in Giappone

17 mar 2024

Le cascate di kandeko. E per Levi era la prima volta.

ENGLISH BELOW

Le cascate di kandeko ci sono piaciute proprio e per Levi era la prima volta.

Levi è uno dei mille nipoti di Blaise e Blaise è la persona che gestisce il sito “turistico” che si trova a Kandeko, un villaggio a 20 km da Ouesso. Le virgolette alla parola turistico ci volevano tutte, almeno fino a qualche mese fa.

C’eravamo già stati 2 anni fa con Yorick, Sasha e Rwan. Ci andammo un  pomeriggio a fare un sopralluogo. Dopo che ci spiegò come funzionava, e che saremmo dovuti tornare il giorno dopo, rRimanemmo un po’ a suonare con la famiglia di Blaise, noi avevamo chitarra e il tamburello e loro qualunque superficie da percuotere.

L'indomani partimmo per la visita alle cascate. Dopo 5 minuti di marcia ci ritrovammo immersi con l’acqua fino al collo, i ruscelli di cui Blaise ci aveva parlato e che avremmo dovuto attraversare facilmente erano in realtà fiumi in piena, a causa della pioggia della notte precedente. Ma ormai eravamo lì, continuammo. Il tutto durò un’ora e quaranta e l’unica cosa che non si bagnò furono le macchine fotografiche negli zaini portati sulla testa. Arrivammo alle cascate e le guardammo dall’alto. Fu una delle mie prime uscite in natura in Congo.

Agosto 2021

Nov 2021: bagnati fino alle mutande
Anche la seconda volta che ci andai ne uscii completamente bagnata e neanche stavolta fu per un tuffo nella cascata, ma per la pioggia che ci prese sulla via del ritorno. Consegnai anche il mio k-way per coprire il piccolo di 3 anni che era con noi. Avevo l’acqua fino alle mutande, anche in quell'occasione, Blaise ci disse che presto avrebbe risistemato il posto per renderlo “turistico”, costruendo ponti sui ruscelli, sistemando il bar sulla casetta rialzata e poi il prato lungo il torrente all’entrata e poi i bungalow per pernottare. Di turistico Blaise però in quel momento aveva solo fissato i prezzi, oltretutto altissimi e io gentilmente mi rifiutai di dare la somma richiesta e lui non ce la fece a insistere.

Poi qualche mese fa incontro Blaise mentre lego la bici al lavabo delle abluzioni di Salem 1, il supermercato di Ouesso. Lì per lì non lo riconosco, è vestito bene, con la barbetta e ha preso qualche chilo. Quando dice il suo nome, lo focalizzo. Mi invita all’inaugurazione del sito. “enfin, on a fait les travaux, Danielà”. Mi dice subito i prezzi che ha fissato, memore forse dell’ultima volta in cui non pagai. All'inaugurazioni non potetti andare, ma ricevetti degli ottimo feedback.

Così domenica io e la mia amica Maria abbiamo deciso di andarci. Chiamo il tassista di fiducia, che solo di nome fa Christian Dior (il cognome a questo punto non importa). Blaise però non ci sarà, ha una veglia funebre, mi dice al telefono.  Tuttavia si raccomanda di chiedere di suo figlio Prince se vogliamo andare alle cascate. “Vedrai, Daniela come è tutto nuovo” mi dice con soddisfazione.

Al nostro arrivo troviamo la famiglia Blaise al completo:  madre, nonna, figli, nipoti, polli e pecorelle. Prince non c'è. C’è Maman Nathalie, che si ricorda di me e della musica suonata la prima volta. Ci mostra le migliorie, lo spazio picnic adesso ha le altalene e due grandi macchine giocattolo per i bambini. Tutto è fatto con materiali di riciclo. Ci fa vedere le chenilles messe a seccare col mango selvatico. È il periodo buono.

Agosto 2023

Prince arriva e ci presenta la sua equipe. Oltra a lui ci sono Levi e Stev, due dei tanti nipoti di Blaise. I ragazzini ci mostrano i nuovi spazi del sito: i laghetti per la piscicultura e l’idrovora per la corrente elettrica, poi il campo di platani, la canna da zucchero, i corrosol e papaye e tutto in fondo la foresta. Levi è il più piccolo, ha occhi profondi e vispi, parla benissimo e con passione del lavoro messo su dal nonno. Non avrà 10 anni secondo me. Ci dice che i pesci dello stagno si possono pescare solo da adulti, dice che sono grandi quanto lui e che li pescano mentre mangiano le radici delle ninfee.

"Chi conosce la foresta è Prince", dice Levi con fierezza. Gli chiedo degli animali, mi dice che ci sono i gorilla, e anche un gruppo di scimpanzé, che al mattino presto si affaccia proprio lì davanti. Ma quelli non si possono cacciare, mi dice. 

Per arrivare alle cascate stavolta ci sono voluti solo 40 minuti, andando a passo veloce. Prince e i ragazzi ci aprono la strada a colpi di macete. Nel cammino, frutti mangiati dalle scimmie impronte di elefanti. 

Camminiamo veloce, il rumore dell’acqua inizia a sentirsi sempre più forte. Quando arriviamo davanti alle cascate, sempre la stessa sensazione di pace, come le altre volte. Dopo 5 minuti siamo tutti in acqua. Con noi c'è anche un altro ragazzo, che non parla e non si tuffa, ma ci guarda affascinato.

Scopriamo che per Levi e Stev è la prima volta che nuotano qui nelle cascate. Pochi arrivano fino qui e nessuno fa il bagno, ci dicono. Stev entra in acqua coi pantaloni lunghi. Nuotano come dei pesci. Facciamo le 3 vasche sui diversi livelli, passando tra le rocce e tuffandoci ogni volta. Ci aspettiamo reciprocamente, con una bella complicità. L’acqua è fresca e pulita e mi ricompensa di quella voglia che spesso ho di immergermi fino alla punta dei capelli.

Per i ragazzi però l'acqua è troppo fredda, non sono abituati.

Levi et Stev, Agosto 2023

Al rientro il tratto di foresta sembra durare meno, "perché a ritorno si hanno meno aspettative” dice saggiamente Maria. Arrivati alla base, è come se ci aspettassero tutti. Siamo la novità. Questo posto non lo conosce nessuno o comunque qui il turismo non esiste. 

La famiglia è riunita, Stev e Levi si uniscono agli altri piccoli, i grandi ai grandi e io e Maria mangiamo il nostro panino con l’omelette. Prince resta con noi a fumare la sua sigaretta, mentre in fondo c'è il rumore di ingranaggio dell' altalena accanto alle due grandi Ravinala del Madagascar.

A prenderci ci sarà Merveil, mandato da Christian Dior. Maman Nathalie, sotto il grande cancello arruginito si raccomanda di portare la musica la prossima volta e Prince mi promette che mi porterà a cercare gli scimpanzé.

Chissà se lo faremo davvero, ma qui è la prospettiva che conta "pour s'accorcher".

E bravo Blaise! E lo ammetto, non ci avevo creduto del tutto...

Qui, un riassunto della giornata, con Levi affascinato dalla GoPro che può andare nell'acqua.


We really liked the Kandeko Falls and it was Levi's first time there.

Levi is one of Blaise's thousand grandsons and Blaise is the one who runs the 'tourist' site, located at 20 km from Ouesso. The inverted commas at 'tourist' were all we needed, at least until a few weeks ago.

We had already been there two years ago with Yorick, Sasha and Rwan, one afternoon, sightseeing, and Blaise told us to go back there from the morning if we wanted to get to the falls. He would give us guides and in an hour or so we would arrive. So we stayed there for a while playing guitars and tambourine we had brought, and Blaise's grandchildren joining in with improvised percussion on whatever surface.

The next day we went there in the morning and set off in search of the falls in a caravan with two natives. After five minutes of walking, we found ourselves up to our necks in water. The streams we were supposed to easily cross - according to Blaise - were raging rivers, due to the rain the night before. But by now we were there and we continued. The whole thing lasted an hour and forty minutes and the only thing that didn't get wet were the cameras in the rucksacks we carried on our heads. We arrived at the waterfalls and looked at them from above. It was one of my first trips to Congo.

The second time I went I came out completely wet and this time it was not a dip in the waterfall either, but the rain that caught us on the way back. I also handed over my k-way to cover the little one who was with us. I had water up to my knickers, even then. Blaise told us that he would soon rearrange the place to make it 'touristy', the path, the bar on the raised hut, the meadow along the stream at the entrance and then the bungalows to stay overnight. All Blaise had done at that moment was to set the prices, which were very high, and I politely refused to give him the amount he asked for and he could not insist.

Then a few weeks ago I meet Blaise while tying my bike - as usual - to the ablutions sink at Salem, the supermarket in Ouesso. There and then I don't recognise him: he is well dressed, with stubble and has gained a few kilos. When he says his name, I focus on him. He invites me to the site opening. "enfin, on a fait les travaux, Danielà". He immediately tells me the prices he has set, mindful perhaps of the last time I didn't pay. Unfortunately I won't be able to be there, because I will be on a mission among goat breeders and potential vets.

So last Sunday my friend Maria and I decided to get there. I call our trusted taxi driver, Christian Dior (that's just his first name, the surname doesn't matter at this point). Blaise won't be there though, because he has a wake, but he recommends asking about his son Prince if we want to go to the falls. 'You'll see, Daniela how new everything is,' he tells me on the phone with satisfaction.

Prince is of course not there when we arrive, but there is the whole Blaise family: mother, grandmother, children, grandchildren, chickens and sheep. There is Maman Nathalie, who remembers us and the music from the first time. The picnic area now has swings and two large toy cars for the children, made from recycled materials and now housing caterpillar to dry with wild mangoes. It is good times.

"The 'waterfall team' entrusted to us consists of Prince, Levi and Stev, Blaise's two young nephews. The young boys show us the work they have done: the ponds for fish farming and the hydro-vessel for electricity, then the field of plane trees, sugar cane, Corrosol and papaye, and all around the forest. Levi is the youngest, he has deep, lively eyes, he speaks very well and passionately about the work his grandfather put in, he will not be 10 years old in my opinion. He tells us that the fish in the pond can only be caught as adults, he says they are as big as he is and that they catch them while eating the roots of the water lilies.

He who knows the forest is Prince, says Levi proudly. I ask if there are any gorillas, he says they are seen, just as one sometimes sees a group of chimpanzees early in the morning in the trees out front. He adds that Prince, however, hunts neither gorillas nor chimpanzees, because otherwise you go to prison.

Getting to the falls this time took only 40 minutes at a brisk pace. Prince and the boys with machetes lead the way. Prince shows us the fruit eaten by the monkeys and the footprint left by the elephant. There is a tree felled, he did it because the fruit was too high to be picked. Mmhh...there is work to be done on this evidently. We walk fast, the sound of water from the falls starts to get louder and louder. When we arrive in front of the waterfalls, the same peaceful feeling as before. After five minutes we are all in the water. There is also another guy with us, who does not speak or dive, but looks at us fascinated.

We discover that it is the first time for Levu and Stev to dive into the waterfall. Stev even enters the water in his long trousers. They and Prince are fish. We do the three pools on different levels, passing between the rocks and diving in each time. We wait for each other, with a nice complicity. The water is cool and clean and makes up for that lack I sometimes have in Ouesso of 'diving to the tip of my hair'.

For Levi though, the water is too cold, he is not used to it, but he stays in front of the GoPro to see if it really can film underwater!

On the way back we take even less time than on the way out, 'on the way back you have fewer expectations,' says Maria wisely. When we arrive at the base, it is as if everyone is waiting for us. The family is reunited, Stev and Levi join the other little ones, the big ones the big ones, and Maria and I eat an omelette sandwich. Prince stays with us and smokes his cigarette, while in the background there is the rattling of the swing next to the two big Madagascar Ravinalas.

Picking us up is Merveil, sent by Dior. Maman Nathalie recommends bringing music for next time and Prince will take me to look for chimpanzees.

Who knows if we'll actually do it, but here it's the perspective that counts "pour s'accorcher"

And bravo Blaise! And I admit, I didn't quite believe you could do it.







11 mar 2024

l'8 marzo a Ouesso

ENGLISH BELOW

8 Marzo 2021, Ouesso
Tornavo dall’allenamento di aikido quando mi sento chiamare dal mio collega. E' seduto al bar accanto a casa mia con altri amici. Mi fermo a bere una birra. Ho ancora addosso i pantaloni dell'uniforme e me ne rendo conto solo quando realizzo che sono l’unica vestita "male". Intorno a me tante, tantissime donne di tutte le età con abiti bellissimi, confezionati con i tessuti africani. Mi dicono che si chiamano "pagne", che poi è il nome con cui si chiama qui la stoffa. Ci sono i pagne dpecifici per l'8 marzo e scopro che ogni donna se ne fa cucire uno per questo giorno speciale. 
“Ma poi speciale perché?” Mi chiedo una volta rientrata a casa, dopo diverse birre in compagnia dei colleghi e di altra gente conosciuta al bar. Mi resta addosso una sensazione di tristezza. Mi sembra riduttivo che un giorno così importante per noi donne, diventi quello in cui si è libere di uscire, bere, ballare fino a notte fonda e col beneplacito degli uomini. Sono qui da poco e sento che mi mancano ancora tanti elementi di questa complessa nazione per capire a fondo.

8 Marzo 2022, Ouesso
@Chris.Nzounzi
Quest'anno siamo andati al Liceo con le due équipe di progetto. Alcune donne della nostra organizzazione hanno parlato davanti a una classe di studenti e insegnanti delle loro esperienze di “donne della Conservazione”. Abbiamo lavorato duro per preparare questa giornata. Volevamo parlare alle nuove generazioni, ma soprattutto ascoltarle. Volevamo creare un ricordo diverso di questa giornata. Abbiamo raccontato la storia dei nostri diritti conquistati e abbiamo provato (forse con un po' di presunzione) a instillare la speranza di poter continuare a difenderli e perché no, aumentarli, migliorarli. L’insegnante che per tutta la giornata è stata scettica nei nostri confronti e verso i ragazzi che ci hanno seguito, alla fine ha preso “il bastone della parola”. Ha concluso dicendo che, se fosse tornata indietro avrebbe fatto come Angela, che oggi ci ha fatto commuovere con la sua storia di lotta contro chi voleva convincerla a tornare a casa, fare la madre, invece di studiare e infognarsi in questa storia della salvaguardia della natura.

8 Marzo 2023, Ouesso
Quest’anno è diverso. E' il terzo. Quest’anno mi hanno invitato, mi hanno vestito e così ho sbirciato, ho rubato, ho ascoltato, ho vissuto. 
Se ne comincia a parlare da almeno tre settimane prima. Se hai bisogno di una piega al pantalone, scordatelo, perché tutti i sarti e le sarte saranno già piegate sulle singer a pedali. Nascono “punti di cucito temporanei”, con donne che si improvvisano sarte pur di fare qualche soldo. È il caso del banco tra casa mia e l’ufficio, su cui di solito ci sono pomodori, melanzane, cipolle e beignet. In questi giorni invece ha avuto pile di abiti con grandi 8 e lunghe scritte sui diritti della donna. Non importa l’età, ma ognuno deve avere il suo pagne. Chi si è organizzato per tempo, lo indossa dal mattino, chi è in ritardo, l’importante che ce l’abbia dal tramonto in poi, quando la festa comincia. 
In questi tre anni ho imparato dalle donne che ho incontrato che non è vero che è solo l’8 marzo il giorno in cui loro sono libere di uscire, lasciare i mariti a casa con i figli e divertirsi. È che l’8 marzo tutto questo è riconosciuto, è accettato, con consenso generale insomma. L’8 marzo è solo una festa.
Ho raccolto qualche frase tra birra e tacchi incastrati nei lunghi abiti:

“Durante l’anno facciamo più o meno quello che facciamo oggi, ma gli uomini non sono contenti come oggi.”

“Che diritti? Tanto non cambierà mai niente in questo Paese e allora noi oggi almeno festeggiamo”

“Che cosa deve cambiare? Maman Daniela, guarda che se qualcosa cambia davvero per noi, poi per loro è complicato, mais jamais…”









8 March 2021, Ouesso
I was returning from aikido training when I hear my colleague calling me. He is sitting at the bar next to my house with other friends. I stop for a beer. I realise am still wearing my uniform trousers when I see that I am the only one 'badly' dressed. All around me are many, many women of all ages in beautiful dresses, made from African fabrics. They tell me they are called 'pagne', which is the name by which the cloth is called here. There are pagne specific for 8 March and I discover that every woman has one sewn for this special day.
"But then special why?" I ask myself once I get home, after several beers in the company of colleagues and other people I met at the bar. I am left with a feeling of sadness. It seems to me reductive that such an important day for us women should become the day when we are free to go out, drink, dance late into the night and with the approval of men. I have only been here a short time and I feel that I am still missing so many elements of this complex nation in order to fully understand it.

8 March 2022, Ouesso
This year we went to the high school with the two project teams. Some women from our organisation spoke in front of a class of students and teachers about their experiences as 'Women of Conservation'. We worked hard to prepare for this day. We wanted to speak to the new generations, but above all, we wanted to listen to them. We wanted to create a different memory of this day. We told the story of our conquered rights and tried (perhaps a little presumptuously) to instil hope that we could continue to defend them and why not, increase them, improve them. The teacher, who had been sceptical of us and the children all day, finally took 'the talking stick'. She concluded by saying that, if she had gone back, she would have done like Angela, who moved us today with her story of fighting against those who wanted to convince her to go back home, to be a mother, instead of studying and getting involved in this story of nature conservation.

8 March 2023, Ouesso
This year is different. It is the third. This year I was invited, I was dressed, and so I peeked, I stole pics and stories, I listened, I lived with.
People got prepared at least three weeks in advance. If you need a crease in your trousers, forget it, because all the tailors and seamstresses will already be bent over the pedal pushers. Temporary 'sewing stitches' are born, with women who improvise themselves as seamstresses in order to make some money. This is the case with the stall between my house and office, on which there are usually tomatoes, aubergines, onions and beignets. These days, however, it has had piles of clothes with big 8s and long words about women's rights. No matter the age, everyone must have their pagne. Those who have organised themselves on time wear it from the morning, those who are late, the important thing is that they have it from sunset onwards, when the party starts.
In these three years, I have learnt from the women I met that it is not true that it is only 8 March that women in Ouesso are free to go out, leave their husbands at home with their children and have fun. It is that on 8 March all this is recognised, it is accepted, with general consensus in short. 8 March is just a celebration.
This year, I picked up a few sentences between beer and heels stuck in long dresses:

"During the year we do more or less what we do today, but men are not as happy as today." A woman said.

"What rights? Nothing will ever change in this country anyway, so we at least celebrate today." Another replied about rights.

"What has to change? Maman Daniela, look, if something really changes for us, then it's complicated for them, mais jamais..." while laughing with pleasure.


31 gen 2024

La prima volta al cinema

ENGLIGH BELOW 

“Mi manca questo modo di vivere il cinema” finisce così il messaggio di E. che mi arriva a seguito del mio racconto di “una prima volta” vissuta in Congo, anche dopo due anni e mezzo. Sono andata al cinema, ho visto un docu-film che si chiama “le spectre de Boko Haram”. Alla fine ci vado da sola, nessuno è interessato.

Arrivo con un minuto di anticipo, ma “la sala non è ancora pronta” mi dice il tipo all’entrata. Sono all’IFC, l’Istituto Francese del Congo. Niente a che fare con l’IF Madagascar, molto più ambizioso e con un’offerta oltre misura rispetto a qui: documentari su Peter Brook, concerti di musiche di Monteverdi, festival di corti e il grande Beppe Voltarelli, dove arrivai in groppa ad una moto di uno che si chiamava Antonio e che mi salvò dal traffico di Tana.

Qui è tutto più misurato, semplice. Nella sala le poltroncine sono in realtà sedie da congresso in plastica e lo schermo un grande lenzuolo, ma ben tirato. Il film inizia con due bambini che parlano la lingua locale del nord del Camerun. Dopo essersi accorti di non aver attivato i sottotitoli, fanno ripartire il film. In sala c’erano per la maggior parte africani congolesi, west africani e qualche espatriato occidentale.

Il film parla della vita quotidiana di un villaggio controllato da BH, raccontato attraverso la storia di due fratelli deportati in questo villaggio e desiderosi di tornare a casa.

L’orario di inizio è solo indicativo per il pubblico. La gente entra in qualunque momento e alcuni escono per rispondere a dei nokia 2030 che suonano con le suonerie dei primi anni del 2000. Accanto a me ci sono due omini. Uno ha anche molti capelli bianchi, il che denota una età parecchio avanzata, vista la rarità di questo tratto nel popolo africano. Accanto il suo amico dai lineamenti indianeggianti, anche lui di una certa età. I due non esitano a commentare le scene del film durante la sua intera durata.

Il documentario è molto ironico, a tratti esilarante nella scena dei fratelli che si testano sulle capacità matematiche.

Non sapevo che BH controllasse il nord del Camerun, inoltre la lingua locale non ha niente a che fare con il Lingala, però l’accento è lui, quello di questa Africa Centrale ormai inconfondibile pieno di d’abord, seulement et vraiment.

Quando le luci della sala sono ancora spente e i titoli scorrono, c’è il tipo che animerà la discussione che ha già cominciato a presentarsi. Il ghiaccio si rompe subito. L’occidentale fa la sua domanda intellettuale, tutti gli altri invece insistono sulla comprensione della trama del film “Come mai i due bambini alla fine non sono più al villaggio?” “Perché ci fate vedere solo la vita del villaggio, mi aspettavo di vedere come agisce BH” “Come si chiamava la mamma del bambino?” 
Gli omini anziani commentano la dolcezza del piccolo che “voleva sapere il colore dei capelli di sua madre che BH aveva ucciso”, se qualcuno non lo avesse capito.

La ragazza sulla porta, che è nell’organizzazione di questa serie di documentari, ci dice che la voce dei bambini è importante per capire cosa sia una guerra o essere sotto occupazione. Ci racconta che lei la guerra del 1997 se la ricorda, era bambina quando suo padre, mentre camminavano le disse di correre e “plonger”. Lei quel "immergetevi” dice di non averlo mai capito, ma che corse e corse e corse e sentì per gli anni a venire l’istinto di correre, quando era per strada tra la folla. Ce lo racconta talmente bene, senza enfasi né retorica, che per qualche lunghissimo secondo restiamo tutti in silenzio...silenzio rotto dall’omino dai capelli bianchi con un “c’est bon? On peut partir?”
Quel “beh?” che a noi italiani serve per annunciare che è il momento di andare.

Lascio qui le coordinate di questo docu-film che vale la pena di vedere. Non fosse altro per rispondere alle domande degli omini.

 


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"I miss this way of experiencing cinema" thus ends E.'s message to me, following my account of a-first-time-experienced in Congo, even two and a half years. I went to the cinema, I saw a docu-film called 'le spectre de Boko Haram'. 
In the end I go alone, no one is interested.

I arrive a minute early, but 'the theatre is not ready yet' the guy at the entrance tells me. I am at the IFC, the French Institute of the Congo. Nothing to do with the IF Madagascar, which is much more ambitious and has an oversized offer than here: documentaries on Peter Brook, concerts of music by Monteverdi, festivals of short films and the great Beppe Voltarelli, where I arrived on the back of a motorbike belonging to someone called Antonio and who saved me from the traffic in Tana.

Here everything is more measured, simple. In the hall the armchairs are actually plastic conference chairs and the screen a large sheet, but tightly drawn. The film begins with two children speaking the local language of northern Cameroon. After realising they had not activated the subtitles, they restart the film. In the hall were mostly Congolese Africans, West Africans and a few Western expatriates.

The film is about daily life in a village controlled by BH, told through the story of two brothers deported to this village and longing to return home.

The start time is only an indication for the audience. People come in at any time and some leave to answer nokia 2030s ringing with ringtones from the early 2000s. Next to me are two little men. One also has a lot of white hair, which denotes a rather advanced age, given the rarity of this trait in African people. Next to him is his friend with Indian features, also of a certain age. The two do not hesitate to comment on scenes in the film throughout.

The documentary is very ironic, at times hilarious in the scene of the brothers testing each other's mathematical skills.

I did not know that BH controlled the north of Cameroon, moreover the local language has nothing to do with Lingala, but the accent is him, that of this Central Africa now unmistakable full of d'abord, seulement et vraiment.

When the hall lights are still off and the titles are flowing, there is the guy who will animate the discussion who has already begun to introduce himself. The ice is immediately broken. The westerner asks his intellectual question, everyone else instead insists on understanding the plot of the film "how come the two children are no longer in the village at the end?" "why do you only show us village life, I was expecting to see how BH acts" "what was the name of the child's mother?" The old men comment on the sweetness of the little one who "wanted to know the colour of his mother's hair that BH had killed", in case anyone missed it.

The girl at the door, who is in the organisation of this documentary series, tells us that children's voices are important in understanding what a war is or being under occupation. She tells us that she remembers the war of 1997, she was a child when her father, while walking, told her to run and "plonger". She says she never understood that diving, but that she ran and ran and ran and felt for years to come the instinct to run, when she was on the street in the crowd. She tells us so well, without emphasis or rhetoric, that for a few very long seconds we all remain silent...silence then broken by the old white-haired man with a "c'est bon? On peut partir?" That "well?" that we use to announce that it is time to go.

I leave the coordinates of this docu-film that is well worth seeing. If only to answer the old men's questions.