A tutto Est: in Giappone

26 feb 2013

la strada delle montagne




Era dicembre 2011 quando ricevetti questa mail da “Arrogance”, il mio futuro ospite di camera aperta che presto manderà notizie dal Kurdistan.
Solo un mese dopo avrei per la prima volta messo piede, braccia, busto, testa, anima in Palestina. Prima di allora era solo una grande incognita, tanto famosa al mondo intero, tanto sconosciuta al mio di mondo. Un mondo che al massimo si era allargato all’Africa, ma di medio oriente…neanche l’ombra neanche nell' immaginazione.
Ricordo che mi aggrappai a queste parole, cercando elementi per capire cosa mi aspettava, cosa avrei trovato, così da poter cominciare a pensare a come comportarmi. Perché era questo il principale dubbio “ma io? Come devo fare? Perché, cosa fare più o meno lo so”.

Devo scrivere qui ed ora, prima di lasciare questo paese, nonostante siano le 4 del mattino.
Devo scrivere finché sono ancora a stretto contatto con gli occupanti, nel vero senso della parola. Mi vengono in mente i visi animati, la gestualità vivace, gli umori accesi, dei miei colleghi di lavoro palestinesi, con i quali ho trascorso questi intensi giorni di lavoro. Mi ha sempre colpito, e tuttora sollecita la mia attenzione, la loro pervicace testardaggine a continuare il loro lavoro, nonostante tutto. Nonostante una situazione sociale opprimente e (apparentemente?) senza uscita. Nonostante le 1000 difficoltà, anche legate alla generale povera condizione culturale locale.
Ma questa volta ho avuto un’ulteriore percezione della sofferenza, dell’esclusione, della messa a repentaglio addirittura della possibilità di vivere (non solo un problema di dignità insultata).
La condizione delle tribù beduine, che, cacciate dalle loro terre, si trovano da qualche tempo alla mercé di tutti, protette da pochissimi. Evidentemente, anche il loro legame con la società palestinese è debole, poiché pare che non ci sia per loro la stessa solidarietà nazionale che di solito si manifesta quando gravi atti d’ingiustizia vengono compiuti dai sionisti.
Mi sono reso conto di quanti beduini siano stati costretti ad emigrare negli sterili pendii che degradano da Ramallah verso Gerico.
Quando fai la strada delle montagne, man mano che scendi lungo il suo percorso tortuosissimo, che apre allo sguardo paesaggi inusitati e bellissimi per la loro vastità, ti accorgi dei numerosi accampamenti di gruppi di beduini. E resti subito colpito dalla estrema miseria in cui versano: non ci sono più le tipiche tende che ho visto in Siria, ma baracche di latta che perlopiù ricordano i nostri accampamenti di zingari ai margini delle città. Vedi baracche improvvisate e fai fatica a capire quali sono per le capre e quali per gli uomini. Avevo già notato la loro presenza numerosa in aprile e mi ero chiesto come facessero a sopravvivere in una tale condizione di aridità, di cosa si alimentassero le capre in un ambiente praticamente deserto, cosa potessero mangiare gli uomini, etc. Ma mi era stato spiegato che loro sono beduini e che sono adattati a vivere lì.
Stavolta invece, ripassando in quella strada e con la nuova consapevolezza della loro condizione emarginata (proprio oggi centinaia di beduini sono attesi a Gerusalemme per uno sciopero di massa contro l’ennesima confisca, l'ennesima rottura di un equilibrio ecologico millenario) dicevo proprio oggi ho guardato più attentamente dal finestrino dell’autobus che mi portava a Betlemme. Le solite baracche, le solite magre capre, ma anche tanti bambini, poco coperti (fuori era freddo: 14 °C) che vagavano molto seri, raccogliendo scarti di legname evidentemente per le loro stufe. Intorno solo estremo disordine, sporcizia, niente acqua, niente corrente ed elettricità: estrema marginalizzazione, esclusione.

Sono tornato in albergo con una grande tristezza, quei bambini erano davvero molto seri. Per pura coincidenza, trovo tra le mail una comunicazione di una ONG italiana che racconta una storia di recenti soprusi proprio a carico di quei bambini che avevo appena visto.
Un' ennesima testimonianza della micidiale ed inesorabile azione repressiva dei diritti umani di base. 

Sono adesso all’aeroporto di Tel Aviv e sono circondato dai controllori: sono eleganti, dinamici, paiono proprio europei. E quando ci parli sono affabili, cortesi. Stridente contrasto con quello che riescono a fare fuori di qui.
Non lo diresti mai. No, non lo diresti mai.

Poi quella strada l’ho fatta anche io, fisicamente ho attraversato quel pezzo, con la testa fuori dal finestrino. La strada delle montagne. Il rischio è che ti venga anche da dire “ma guarda che bello, il deserto, le capanne...”
Lumix FZ28 - la strada delle montagne da Gerico a Ramallah

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