Gerusalemme, 4 luglio 2014
Il mio stomaco sta bruciando, si sta espandendo, sento rimbombare l’aria, il respiro. Oggi li ho visti e sentiti. In terrazza con voi e la giornalista e sua figlia. Noi intorno ad un tavolo con la cena preparata da Fef'. Io avevo già mangiato, era il giorno del semi-colloquio di lavoro. Voi mangiavate e cercavo di avere fame per impegnare il corpo, visto che la testa aveva le biglie dentro. Però fame no, neanche un po’.
Avevo mangiato con Ad per quella chiacchierata a cercare di capire se qui me ne posso venire a vivere per un po’ e starci.
Appuntamento alle 19:00 a porta Damasco, mi lasciate vicino il Jerusalem Hotel, è presto c’è un po' di tempo prima dell’iftar e finalmente io ci sono qui a quest’ora; che in questi giorni dicevano di evitare di venirci. Il cannone non ha ancora sparato, ma il sole sta andando giù e fuori è tutto arancione. Le mura di porta Damasco sono di quella pietra che sicuramente un salentino direbbe “ma è come a Lecce!” Nella piazza davanti alla porta c’è una scalinata e i banchini si preparano. Tra poco chi potrà mangiare lo farà e lo farà in strada, all’aperto, nonostante tutto. Io mi stupisco perché immaginavo che si facessero delle gran tavolate in casa.
“Macché, si sono viziati questi. Però, i dolci con il formaggio dentro sono buonissimi, possibile che non li conosci?”
“No, mai provati!”
Sono quasi le 19:00 e io faccio qualche scatto in bianco e nero con la contaflex. Non ce la faccio, le cose che accadono sono troppe in questi minuti e non faccio che girare la testa ovunque.
Entrano le persone in città vecchia, attraversano la porta di Damasco.
Escono le persone dalla città vecchia, attraversano la porta di Damasco.
Arrivano i militari israeliani verso la città vecchia, si allineano davanti alla porta di Damasco.
Io resto sulla scalinata e respiro i profumi della carne arrostita e del pane caldo, poi le bancarelle con le mutande da uomo e i fiori finti, mentre mi sento in mezzo: tra l’inizio della festa e l’inizio della guerra.
Sono le 19:00 e acchiappo il telefono, chi dovevo incontrare mi chiede se ho una maglia rossa e allora abbasso la testa e lui è lì. Piacere, piacere e passiamo attraverso la porta di Damasco, mi ritrovo a camminare velocemente per la città vecchia, ci dirigiamo in 4 spediti verso chissà dove. D’un tratto siamo in 4 e io non me ne sono accorta. Una Lei molto bella ci porta dritti nel quartiere armeno, un Lui molto buffo ci dice che è colombiano, cresciuto in Francia e col nome russo. La signora del negozietto ci dà delle birre, così tutti comprano la Taybeh e io prendo la Mythos. Ho conosciuto il Sig Taybeh e non mi è piaciuto proprio, invece la greca Mythos ormai rappresenta il sapore di questa Gerusalemme 2014. Poi ognuno prende noccioline, pistacchi, patatine e di nuovo destra, sinistra, dritto, vicoletto, siamo dentro dove tutto sta chiudendo e si scivola coi sandali sulle chianche bagnate; rifiuti ovunque e odori di carne, piscio, acque, spezie, sudori. Fuori! Fuori dalla città vecchia all’iftar, fuori a mangiare, bere, sparare, lanciare le pietre, incontrare e nascondere, poi pregare e a volte anche soltanto stare, come i ragazzi della scalinata che stanno lì e non so che futuro possano avere. Fuori! Di giorno in città vecchia, di sera chissà in quale fuori.
Spediti noi adesso saliamo le scale e saliamo sul tetto di un grande edificio dove il tetto è una vasca per raccogliere l’acqua piovana e, come per le pietre di porta Damasco, un pugliese si sentirebbe su un tetto familiare. Dopo aver sistemato le noccioline, distribuiteci le birre, mi accorgo che davanti a noi c’è il monte degli ulivi e c'è...“Cos’è quella costruzione blu con la cupola dorata?” mi chiede il Lui-buffo. Io credo scherzi, invece no; è giovane ed è in vacanza lì, appena arrivato fa couchsurfing dalla Lei-bella, australiana e cooperante dell’UNRWA. Lui dice rimarrà “in the area” fin quando non gli finiranno i soldi. Da una parte provo piacere, ci sono ancora ventenni che hanno voglia di andare in giro così. Dall’altra temo per lui che se non conosce la cupola d’oro, non sa che la storia gira tutta lì, qui.
Così ora tutti sappiamo di avere il culo su un tetto armeno, poco più in là due bambini ebrei coi riccioli e la kippa stanno giocando e chissà cosa gli hanno detto sulla terra che abitano, e poi di fronte, la grande moschea. Per un attimo tutto si ferma e di nuovo forte emerge la sensazione che qui l'origine c'è stata da qualche parte.
Così ora tutti sappiamo di avere il culo su un tetto armeno, poco più in là due bambini ebrei coi riccioli e la kippa stanno giocando e chissà cosa gli hanno detto sulla terra che abitano, e poi di fronte, la grande moschea. Per un attimo tutto si ferma e di nuovo forte emerge la sensazione che qui l'origine c'è stata da qualche parte.
Poi fuori, all'ifatr, oggi, come ieri, come 10, 20, 30, 60 anni fa, si spargono fiumi di ingiustizie e i diritti si vendono ai mercati internazionali.
E sento uno scoppio.
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