A tutto Est: in Giappone

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9 nov 2016

In guerra per amore


Quando ancora le luci sono spente, la gente esce dalla sala. Chi ha riso, chi ha parlato quasi tutto il tempo, chi è venuto a vedere che faccia c'ha Pif de "i provinciali" di Radio2.
Restiamo in 4 a leggere i titoli di coda, i nomi di tutti a capire chi è chi, la musica, la città…
Non appena si riaccendono le luci e la canzone sugli asini che volano sta per finire, Ele esclama “Certo che questo film fa proprio incazzare”.
...
Per un attimo io e Chià restiamo senza parole.
“Nel senso che dice la verità su come sono andate le cose?” chiedo.
“Essì” dice Ele, sfregandosi gli occhi.

IN GUERRA PER AMORE è un film intelligente e coraggioso. Forse anche meglio de LA MAFIA UCCIDE SOLO D'ESTATE, tradendo così la regola che la seconda opera riesce peggio della prima (se questa è venuta bene).
L’amore è quello di Arturo (Pierfrancesco Diliberto, in arte Pif) per Flora (Miriam Leone) e del luogotenente Philip Catelli (Andrea di Stefano) per la patria, l’Italia.
Siamo a New York nel '43 e Flora è promessa a Carmelo, figlio del braccio destro di Lucky Luciano. Flora non ama Carmelo, ma Arturo, che è solo il cameriere del ristorante di famiglia "Alfredo". L'unica speranza per Arturo è andare in Sicilia a chiedere la mano al padre di Flora. A Crisafulli (che poi è Erice, Nubia, Segesta e lo Zingaro tutte insieme), Arturo ci arriva con l’Operazione Husky. E’ un soldato inesperto, sta lì solo perché è siciliano e può aiutare l’esercito a comprenderne lingua, modi e pensieri. Ma Arturo è un sognatore e il suo unico pensiero è tornare in America promesso sposo. La liberazione dai tedeschi se la vede scorrere davanti, senza troppo capire. Ci penserà Liut tenent Catelli (bello, bellissimo) a mettergli in mano il senso della dura realtà. Catelli prima di morire gli lascerà una lettera da portare a Roosvelt per denunciare che la Sicilia, dai tedeschi, è passata alla mafia, con l'aiuto dell'America e nel nome di una Democrazia. Cristiana.
Sicilia 1943. Il contadino Giovanni Maccarrone  indicò agli americani la strada 
presa dai  tedeschi in fuga. Fu ucciso da questi subito dopo.
Foto di Robert Capa.

E’ un raro, se non l'unico, esempio di racconto schietto di questo pezzo di storia italiana. Al cinema intendo.

Pif in questa storia ci mette tanta ironia, tanti attori e tante immagini. 
Saro Cupane (Maurizio Bologna) e Mimmo Passalacqua (Samuele Segreto) sono lo zoppo e il cieco, grandiosi e ci riportano alla commedia tutta italiana. Un occhio un po’ appassionato e attento riconoscerà in una scena del film, la foto di Robert Capa del contadino Giovanni Maccarrone, ucciso dai nazisti nel '43. Infine, un cuore un po’ sensibile batterà più forte quando Liut Tenent canterà in inglese al piccolo Sebastiano la canzone degli asini che volano.
“La canzone dice che alla fine nella vita sei tu che puoi cambiare il corso delle cose”, spiega il luogotenente al piccolo Sebastiano.

E' qui che forse Ele inizia a incazzarsi.
Forse perché come noi, ha sperato in un finale diverso?
Proprio un bel film.
Bravo Pif!
Ora perché non ci racconti dell'occupazione italiana in Libia? E quella in Etiopia?

PS
qui c'è un bel libro di Giuseppe Casarrubea e Mario José Cereghino "Operazione Husky"

13 ott 2016

Devil comes to Koko - Il diavolo viene a Koko



C’è una storia amara che tanti anni fa è partita da Pisa. Una storia puzzolente come il veleno.
E’ il 1987 e dalla darsena pisana partono le navi cariche di rifiuti tossici per la Nigeria. Le navi arrivano a Koko, dove un imprenditore livornese, a capo di una società di costruzioni basata in Nigeria, ha comprato il terreno argilloso per poco più di 1 euro, lo ha battuto per renderlo più impermeabile e poi lo ha fatto diventare fondamenta per la raccolta dei nostri scarti di fabbriche e industrie. Le fondamenta presto hanno ceduto il passaggio a quei veleni che tuttora a Koko rendono acque e terra inquinate “e l’erba che cresce qui è diversa da quella del villaggio vicino”.

Questa storia ce l’hanno raccontata all’Arsenale cinema a Pisa due giorni fa, attraverso il documentario “Devil comes to Koko”, un film di Alfie Nze co-prodotto da Fabrica.

ph. downloaded from http://greenfilmnet.org/
E' un documentario iniziato 28 anni fa, quando l’allora inviata del quotidiano l’Unità, Rachele Gonnelli, mette insieme le carte e i dati e getta le basi per un'inchiesta. Intorno troverà il silenzio, tutti tacciono, inclusa la magistratura. Rachele chiede aiuto al suo amico e collega Giorgio Meletti, che al tempo lavorava a il Mondo. Giorgio scrive l’articolo che strategicamente intitolerà “Scorie da profitto” e accenderà la miccia della bomba e magari spegnerà il silenzio. Se ne parla in Nigeria finalmente, le carte arrivano a Lagos grazie ad alcuni studenti nigeriani residenti a Pisa, tra cui Udo Enwereuzor (oggi Esperto di Diritti Umani e Migranti) e all’ex parlamentare dei Verdi, Enrico Falqui. Enrico "scavalca il cancello e porta la notizia nelle mani del Governo nigeriano”, mentre gli altri lo aspetteranno di qua della barricata, perché sprovvisti di immunità.
Ce la fanno dunque, con un gioco di incastri e strategie, movimenti e accordi, al pari di quelli delle navi fantasma e del business fantasmagorico del livornese Gianfranco Raffaelli, che dovrà dare spiegazioni.

In sala l'altra sera c’era anche Alfie Nze, il regista che nell’88 era un teenager, viveva a Lagos e apprese la notizia dai giornali. Adesso vive a Milano, lontano da quello Stato frammentato in 270 idiomi, regioni diverse e separate. "Quello stato messo su dagli Inglesi a tavolino", ci dice quasi en passant e la cosa mi/ci stupisce, perché se fai questo è per amore del tuo Paese. Invece Alfie lo fa forse per necessità di rimettere a posto i pezzi e raccontare uno Stato che Stato non è, attraverso un documentario in cui confluiscono la sanguinosa invasione inglese di Benin City del 1897 e lo scandalo dei rifiuti tossici scaricati nel 1987. Basta spostare due delle 4 cifre.
Il documentario si guarda tutto d'un fiato, “la messa in scena è accurata, quasi da film narrativo; è ibridato con il teatro e l'arte contemporanea”, ci dice Sandra Lischi (Prof di Discipline dello Spettacolo e della Comunicazione dell’Università di Pisa).
E' fresco e con la puzza di disonestà di quei bidoni che portano la scritta “Dono del Governo Italiano”, che tanto ci hanno fatto vergognare.
ph. of fabrica research centre

Peccato che fossimo in pochi a parlare con Alfie, Enrico, Giorgio, Rachele, Sandra e Udo. Però fortunati noi pochi che, con un ritardo di 28 anni, abbiamo comunque un po' scavato quella terra inquinata e tirato fuori una manciata di veleno. L'abbiamo guardata dall’alto della presunzione di chi ha fottuto gli altri; dal basso della vergogna, di essere italiani come loro, e da destra e da sinistra per tante ragioni, perché "Dopo l’88 ci fu il '91 (Moby Prince), il '94 (Ilaria Alpi) e infine il '96 (Mani Pulite)", come ci fa riflettere Enrico Falqui.

Varrebbe la pena di riprovarci a raccontare questa e altre storie a Pisa e altrove. Senza lasciar passare 28 anni però.


Nell'attesa che ci si organizzi, QUI possiamo seguire il cammino di "Devil comes to Koko".



Devil comes to Koko - TRAILER from Fabrica on Vimeo.