All’inizio di un viaggio o percorso è tutto una scoperta, poi ti abitui e diventa tutto un po’ un’abitudine. Quando poi sta per finire, l’attenzione risale e ci si concentra un po’ di più per non perdere i dettagli.
Anche quello di oggi sarà un viaggio speciale, con qualche scoperta in più, come ogni volta su questa strada. Sto tornando a Ouesso. All’andata, 10 giorni fa, ho visto paesaggi e luci bellissime in cui non mi ero mai imbattuta. Oggi invece è grigio e la nebbia si poggia sui pochi alberi di Kintele, a pochi km da Brazzaville.
La regione del Pool |
Come sempre ho la musica alle orecchie. L’algoritmo ha scelto Generale di De Gregori. Oggi sono seduta dietro. A sedere al posto davanti c’è le CTP (il Consigliere Tecnico Principale), un congolese di Brazzaville che vive a Kabo dove si smazza tutti i progetti, dalla lotta al bracconaggio allo sviluppo comunitario. Mi piace molto. E’ tra le persone che mi hanno insegnato a essere paziente e tollerante.
Accanto a me ho un tipo in missione breve qui, non so altro di lui. Lo chiameremo P. Non capisco neanche se sia inglese o americano. Non parla. E’ da ieri sera alla case che lo vedo, ma a stento ha detto bonjour. Ho imparato a non insistere più e poi ieri io ero eccezionalmente silenziosa. Accanto a P. c’è An, che dorme già.
Oggi alla guida c'è Vin e abbiamo già fatto tutti i nostri riti: ci siamo fermati a pain du sucre per le brioche, ripassato le parole Italiane che conosce e dopo Kintele - indicando a destra e a sinistra della strada - si è lamentato di come si possa comprare casa lì sotto la strada, vicino al fiume su un terreno fatto di sabbia « ça va tout partir à la prèmière pluie! ». Lo dice ogni volta.
Nell’altra macchina invece c’è Lé, con cui non parleremo e rideremo come ogni volta per tutto il viaggio per poi addormentarmi per sfinimento a pochi Km dall'arrivo a Oyo, quando cambierò macchina e lui rientrerà a Ouesso. Mi va bene essere con Vin oggi, con lui potrò prendere delle pause di silenzio.
L’algoritmo passa a How do I say goodbye di Dean Lewis. Come si dice arrivederci a qualcuno che in realtà non rivedrai mai più? Casca a pennello e sono costretta a schiacciarmi al finestrino e guardare fuori per pensare alla risposta a questa domanda.
Pioviggina e le spalle mi bruciano un po’, devo aver esagerato al sole nel weekend che mi sono concessa a Pointe Noire qualche giorno fa. Mi piace Pointe Noire e quando posso faccio una fuga proprio lì, dove c'è l’oceano. Una pausa, dopo i giorni faticosi a Brazzaville di lavoro intenso. A Brazzaville in questi giorni si sta svilgendo il summit dei tre ba1cini. E la prossima settimana a Ouesso sarà ancora più intensa.
E così quando Mag mi dice che avrebbe fatto il week end dei morti a Pointe Noire, le ho annunciato che non sarebbe stata da sola e che almeno sabato e domenica sarei andata con lei.
“Deal!” mi dice.
Corro a comprare il biglietto dagli indiani dell'agenzia in città. Non c’è ovviamente posto in economic col primo volo di domani, così per la prima volta in vita mia ho un biglietto di business class.
La business class alla fine consiste in un succo di mango. Intorno a me gente in cravatta e camice in wax su corpi di Bantu forti e fieri. Io in pantaloni da campo e t-shirt, al gate sono quasi stata respinta al gate.
Pointe Noire ha un odore speciale, un misto tra smog e salsedine che ti assale subito. Propongo a Mag di fermarci a casa Papaya prima di andare al nostro lodge. Casa Papaya è un bar della « Cote sauvage » che avevo frequentato durante la mia prima volta a Pointe Noire. Ci passiamo 3 ore e due birre per uno, Bella Ciao in versione elettronica che esce da una cassa sulla spiaggia ed è già pace, relax, pensieri positivi e necessari. C'è tanta fatica che affolla la mia testa in questi mesi, soprattutto da quando abbiamo aggiunto ancora una guerra in questo mondo folle e c'è la sensazione che, con grande facilità, ormai tutto possa facilmente essere spazzato via in un soffio.
Casa Papaya |
Riconosco i murales per strada, ho già fatto quel tragitto ed è la parte che preferisco a Pointe Noire. Ci si allontana dalla città e la zona non è meta di seconde case dei numerosi espatriati residenti, per lo più imprenditori, petrolieri, costruttori. L’oceano qui è troppo aperto e le onde sono potenti per questa gente, che invece va verso il nord della città.
Domenica 29 ottobre: Pointe Noire
Sono proprio quelle onde che oggi ho registrato in un vocale di 10 minuti destinato a Silvia. Un mese prima aveva risposto alla mia chiamata dicendo che se avevo voglia potevo scriverle, che era un momento di « ritiro » e che non avrebbe risposto al telefono. Ho aspettato il momento giusto, quello che pensiamo sia tale, nella lotta contro il tempo e le vite frenetiche che conduciamo, quel momento in cui metti insieme i pensieri e li traduci in parole. Così, non le avevo ancora mai scritto fino a quando non mi sono ritrovata da sola, lungo l'oceano con il rumore delle onde. Mag nel frattempo è sotto un ombrellone in piscina, per difendere la sua pelle chiara.
Mentre registro un ragazzo si avvicina e mi chiede se può sedersi con me e farmi compagnia. E' molto probabile che sia quel tipo di compagnia che i bianchi pagano per noia, potere e altre manifestazioni aberranti. Gli faccio segno di no. Si siede lo stesso a 50 mt da me e resta lì sotto il sole cocente.
Nel vocale le racconto un po’ di me, di questi giorni di ora qui in Congo, della decisione di tornare in Italia nel 2024 e dell’esperienza con i bambini dell’aikido. Silvia è stata une delle prime persone con cui avevo fatto un percorso di teatro. Avevo 19 anni e venivo dal sud Italia, totalmente ignara che si potesse fare un certo tipo di lavoro fisico e che questo si potesse chiamare teatro. Lavorammo sull’Angelo sterminatore di Bunuel con lei e Nené e pochi tra noi avevano aspirazioni di diventare attore o attrice. Tuttavia uscimmo tutti da quel percorso un po’ diversi da come ci eravamo entrati. Nacquero delle amicizie e l’interesse per il teatro continuò per molti di noi. Per me lei era una donna nuova, di una bellezza e un fascino esteriori e interiori con cui non mi ero mai confrontata prima. Quando chiudo il messaggio le dico che spero che stia vivendo con tranquillità il suo momento di ritiro e di sofferenza.
Con Mag ci incontriamo al bar per la pausa pranzo, prendo solo da bere, la colazione del mattino sarebbe bastata fino a sera.
Parliamo guardando l’oceano dall’alto dalla paillotte del Lodge. Nel pomeriggio ci dividiamo di nuovo. Io torno in spiaggia e Mag va in camera per la siesta, la piscina adesso è invasa da un matrimonio in cui tutti gli invitati sono vestiti di bianco. Li chiameremo « la secte des blancs ».
Con Mag mi trovo bene, è svizzera ma non troppo, appassionata di tante cose compresa l’Italia di cui conosce la lingua e quando la parla la sua voce si trasforma. Mi piace ascoltarla, mi piace come costruisce un discorso, i termini che usa e il fatto che parli per esempi e per me diventa tutto molto chiaro. Ogni volta sono scambi in cui si va in profondità, anche a rischio di turbarsi emotivamente. Che poi è il bello di essere espatriati: un po' quella cosa che chiamiamo alchimia.
Quando torno in spiaggia il mare è un po’ più rinforzato e sto attenta con le onde che possono travolgere. L’Atlantico è decisamente più aggressivo dell’Indiano.
Martedi 31 ottobre: Brazzaville - Ouesso
Nel frattempo con la macchina arriviamo a Oyo. Stop. Kiss. Pranzo dall'amico del montone e si riparte, P. ce lo stavamo scordando, per la cronaca. Le conseguenze del suo silenzio.
8 ottobre 2013: Pontedera
"Vediamo cosa diventa" mi disse Silvia mentre si arrotolava la sigaretta, fuori dalla camera ardente allestita in teatro per la sua gemella Luisa. C'era una foto di Luisa mentre si specchiava nel camerino del teatro. Di una bellezza esplosiva, diversamente da quella di Silvia sempre nella sua tipica espressione, profondamente presente a tutto e dalla gestualità pulita e posata.
Imparai da Silvia anche in quell’occasione, imparai che le cose vale la pena viverle, anche se dolorose e fuori dal nostro controllo, come il distacco, la morte.
Avevamo lavorato sul tema durante un laboratorio sul Re Lear. Celebravamo la sua morte. Io scelsi un personaggio maschile, il duca di Kent. Fu una necessità, dovevamo ricordare l'immagine del distacco da una persona cara e io pensai a mio padre davanti al letto di morte di sua madre. In quella Silvia mi disse “Daniela, ricordati che Kent ha un sesso”.
Silvia Pasello - Pisa, 1997 |
Negli anni successivi alla morte di Luisa, imparai da Silvia che si può vivere senza un pezzo di sé. « Le gemelle Pasello » le chiamavano così negli anni d’oro e oscuri del teatro, che non hanno mai smesso di fare forse per intima necessità, oltre che passione e amore.
Martedi 31 ottobre: Brazzaville - Ouesso
Le nuvole oggi sulla strada per Ouesso si posano basse attraverso i kilometri del nulla della regione del Pool del Congo. Sembrano fumo che sale dal verde delle colline verdi.
Sempre con la testa schiacciata verso il finestrino cerco un difficile controllo delle lacrime che scorrono impetuose a causa di quella combinazione musica/pensiero che attiva il sistema limbico e che la ragione non può bloccare. E deve essere proprio quel dolore di cui mi parlava Silvia, a cui abbandonarsi e da cui lasciarsi attraversare.
Silvia aveva "le sue frasi" che usava per riportarci verso azioni teatrali che potessero essere credibili al pubblico.
Una di quelle fu il « se devi cadere, cadi » che disse a Mar, che provava a cadere dalla sedia, ma senza ancora aver trovato un buon motivo nella sua azione. Eravamo tutti affascinati dal suo modo di parlare, muoversi ma soprattutto insegnare. Silvia, bella, presente, forte, con lo sguardo sempre ad altezza occhi. Adoravo quel taglio di capelli corti. Li tagliai anche io.
Ho ben chiaro in mente il momento in cui scelsi di seguirla per costruire il mio percorso di crescita. Io non volevo fare l’attrice, volevo continuare a essere scienziata, la Biologia mi affascinava e in particolare mi appassionava lo studio del fenomeno delle cose. E lei era la persona giusta per quell'esercizio di comprensione di cosa c'è dietro le cose e i compoprtamenti, nella fattispecie tutto il lavoro di un attore, prima di salire sulla scena davanti a un pubblico. Non ho mai smesso di fare quell'esercizio di ricerca e comprensione, anche quando ci siamo separate. Aveva proprio in-segnato. « Ci siamo scelte » mi disse una volta. Ed era così. E la sentivo un po’ come una responsabilità.
Domenica 29 ottobre: Pointe Noire
Dalla spiaggia vengo via prima del tramonto, per ripetere l'esperienza della birra con Mag al tramonto dalla paillotte del lodge. Ma il tramonto lo perdiamo, come perdiamo noi stesse nei mille discorsi di questo weekend che per me sta finendo. L'indomani il mio aereo è previsto per le 7h30. Il gestore del Lodge mi assicura che alle 5h30 avrei avuto un autista per l'aeroporto. Mi fido.
Lunedi 30 ottobre: Pointe Noire/Brazzaville
Il tipo è puntuale, stranamente, ma quando monto in macchina la batteria è a terra. Sbalordito prova a spingere con degli aiutanti, ma è un grande pickup e il terreno è sabbioso. C’è un altro pickup lì accanto, ma quando trafelato prova ad accenderlo anche quello è con la batteria a terra. Sono le 6 e sono ancora lì. Chiedo un taxi, ma il tipo non demorde, vuole quei 10.000 franchi e io glieli darei, ma non ci sono le condizioni. La decisione la prendo quando vedo che per disperazione usa i cavi per caricare una delle due batterie scariche da una delle due batterie scariche. Un po’ come col ragazzo in spiaggia dico con convinzione che vorrei un taxi per l’aeroporto. Tra i tre presenti ce n'è uno vestito di tutto punto e senza scarpe. E' lui che abbozza l’idea che qualcuno mi porti en vélo in paese per prendere un taxi. Prima di urlare « Quale vélo?? » con tutta la Puglia che è in me, mi ricordo che vélo qui è moto e bicicletta è vélo pédale.
La moto è un po’ più grande di uno scooter. Non ho scelta. Monto e partiamo. No casco, no rispetto di limiti, evidentemente inesistenti su strada prevalentemente sabbiosa, con ruota posteriore che talvolta sfugge al controllo. La visione di me con gamba rotta e rimpatrio si delinea. Poi finalmente l’asfalto, poi il taxi. Sono le 6:15 e partiamo. Dopo 50mt il tassista a cui era stato raccomandato di andare dritto in aeroporto si ferma da un Gheddafi per fare rifornimento. Per chi non lo sapesse, si chiamano così i rifornitori abusivi di carburante venduto in bottiglie di Pastis. Il tipo chiede 15 litri, che vuol dire una infinità di bottiglie. Alle 6:20 il Gheddafi non ha il resto, faccio notare al taxi men che il mio aereo è alle 7:30. Sgrana gli occhi, lascia il resto al petit, come chiamano qui il garzone e corre a tutta randa verso l’aeroporto, facendo slalom tra camion e macchine del primo risveglio cittadino. Arrivo in aeroporto alle 6:40 e il check-in è ancora aperto, grazie alla quantità spropositata di bagagli che la gente trasporta per se e per altri intermediari che si infilano a metà fila.
Come annullare la calma e il relax di un weekend improvvisato, penso. Ma almeno l'aereo non è perso. Rientro in economic e coca cola al posto del succo di mango.
Quando arrivo a Brazzaville, ho giusto il tempo di lasciare la roba alla case e gettarmi nelle riunioni del lunedì. C’è ancora tantissima gente in missione che occupa la sala meeting. Sono devastata, ho dormito 4 ore, ma ho respirato oceano e terra di sud, che mi fa sempre bene.
Rientro per pranzo alla case. Ros ha come al solito appoggiato la parrucca sull’asse da stiro mentre pulisce parlando ininterrottamente al telefono. Mangio il mio avocado con pomodoro e mi stendo 5 minuti sul grande divano della sala per una micro pausa. Guardo il telefono. Ho ricevuto un messaggio dal numero di Silvia in risposta al mio vocale che risulta non ascoltato, tuttavia. Il messaggio inizia con un “cari e care”, poi senza continuare a leggere vedo che mi hanno scritto Pao, Ele, Eli e Mic che mi chiede di chiamarlo e piano piano il suono della risacca dell'oceano risuona nella mia testa.
“Silvia non c’è più, è volata via...” dice il messaggio.
Mi congelo, come è prevedibile.
Rileggo il messaggio.
“Silvia non c’è più, è volata via...”
“Oppure flotta tra le onde dell’Atlantico di Pointe Noire...” mi dico.
Martedi 31 ottobre: Brazzaville - Ouesso
Il lungo viaggio tra Brazzaville e Ouesso, appiccicata al finestrino, mentre musica e pensiero mi fanno piangere, mi fa bene, nonostante l'imbarazzo che qualcuno possa accorgersi che Daniela-la-forte sia crollata. In questo viaggio ricordo, immagino, ricostruisco scene vissute e di fantasia.
Mi convinco che la cosa bella sarà scoprire un giorno che la sua morte avrà rappresentato ancora un altro momento speciale che Silvia ci avrà regalato. Sarà un modo di mettere in atto quel vivere senza un pezzo, come aveva fatto lei.
Ma è presto. Per ora so che non mancherai e basta, molto di più.