A tutto Est: in Giappone

16 ott 2023

Quale sorpresa migliore!

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Rientrata dalle ferie estive pianifico 10 giorni a Brazzaville, ho qualche attività da fare. Sarà anche l'occasione di stare con gli amici e i colleghi della capitale, fare aikido e rientrare così gradualmente nella vita di qui e poi procedere verso il nord, verso Ouesso.

Poiché è un venerdì, chiamo il maestro di aikido del dojo che sta a 3 minuti dall’ufficio. Maître Jac mi dice che non ci sarà lezione perché a cominciare dal pomeriggio ci sarà uno stage al dojo del parco zoologico, (che poi è l'altro dojo che frequento). Ci diamo appuntamento lì e, contenta penso che il mio rientro nel paese, nonché il weekend, abbiano preso la piega migliore. Giro l'angolo della strada e incontro Senpai Flu, gli indico il telefono e gli mostro che lo stavo chiamando proprio in quel momento. Flu  è stata la mia porta di entrata all’aikido di qui. Intuisco che lui non verrà, adduce ragioni confuse (mai diretti qui, eh!) Sospetto i soliti problemi politici tra club, che poi è il motivo per il quale adesso a Ouesso non pratico più con gli adulti, ma insegno a ragazzini e bambini.

Mi fiondo al dojo alle 18.00. Il Maestro sta facendo gli esami ed è pieno di piccoli aikidoka che hanno appena ricevuto la cintura gialla. In particolare c'è una aikidoka di taglia minuscola, la cintura fa tre giri intorno alla sua vita, e ne è così fiera…

Allo stage siamo una quarantina e quasi perfettamente distribuiti tra cinture nere e bianche. Qui in Congo si usa che al saluto ci si metta in ordine di grado e che il più alto in grado dica delle cose al Maestro che io non riesco proprio a memorizzare. Per fortuna capito nel mezzo. Qui il riscaldamento csi fa in cerchio e generalmente è ricco di flessioni e addominali. Oggi invece il maestro inizia con un lungo e dolce stretching, in una sequenza logica ed estremamente piacevole per il mio corpo un po’ fuori allenamento.

Il maestro ha una bella faccia, si chiama qualcosa tipo Argille (cosa possibilissima nel panorama dei nomi congolesi fantasmagorici, tipo Jadore, çasuffit, Dieumerci e tanto altro che ho segnato in un file dedicato). Anche sulle tecniche entriamo in modo dolce, facendole prima senza cadute (quello che chiamano  l’éducatif) e poi passiamo alle techniques avec la chutte et les clés (cadute e chiusure).

Ammiro l'attenzione fortissima del maestro verso le cinture bianche, che accoppia alle nere dopo ogni spiegazione. Ci corregge senza mai essere diretto, ma usando metafore o facendo battute (tipico di qui e principale causa di incomprensione nella mia vita quotidiana). Ma quello che più m’incasina è che loro chiamano taesabaki, quello che per il resto del mondo è irimi-tenkan, ma ora lo so, quindi ok. 

(Sì, è un post un po' nerd...)
Un'altra grande vera differenza con i dojo ortodossi è che qui è ammesso arrivare in ritardo. Il maestro non ti rifiuterà. Ci sta anche questo. Un giorno mentre discutevo sulla puntualità, un congolese mi ha detto «Daniela, vous avez le montre, nous avons les temps » (voi avete l'orologio, noi abbiamo il tempo). E mi ha spiazzato.

Tra i praticanti c’è di tutto: alti, bassi pesi minimi e pesi massimi. Deve essere arrivato uno stock di uniformi da qualche paese arabo, molti di loro hanno keikogi con bandiere di colori di Giordania, Siria e Palestina. C'è chi pratica in maniera molto fluida e chi invece è un tronco d'albero. Chi va lentamente, chi si muove come un forsennato. C'è chi mi evita: la bianca con la cintura nera che ti corregge, non è una condizione che si può accettare in pochi secondi di pratica. E c'è chi invece "mi cerca" per praticare e sono soprattutto le (poche) ragazzine. Poi ci sono gli scettici, quelli costretti dal maestro a praticare con me, che preoccupati di farmi male fanno finta di attaccare, fanno piano, e quando si beccano un colpo (io che non faccio finta per niente) conquisto la loro fiducia. 

Tre ore di allenamento al giorno per tre giorni. Si suda da matti, non ci sono pause, non si beve, non si piscia. Ma questo un po' ovunque nel mondo aikidoka.

Noto in particolare due montagne sul tatami: una cintura nera e una arancione. La nera è lo Steven Seagal del Congo. La grande pancia nasconde la cintura a cui è appesa miracolosamente l’hakama. È magnifico vederlo lavorare con i piccoli, che cadono affidandosi al loro essere di caucciu e al rispetto che qui ti insegnano per la gerarchia. Fare e non discutere. Anche Montagna-cintura-arancione cade, ma lui "cade grande" come si dice in gergo e fa un casino della Madonna, perché qui « rumore forte è figo ».
L’entusiasmo sale e le tecniche si complicano di giorno in giorno e ogni mattina sono sempre più rotta e contenta.
L’ultimo giorno viene anche Pat, la mia amica 3 DAN con cui mi alleno di solito qui a Brazzaville. Pat, grande stazza, tanta morbidezza.

Le donne dello stage
E' domenica e il maestro ci invita dopo lo stage a condividere una delle cose a più alto valore sociale qui, le jus. Con jus si indica qualunque tipo di bevanda (alcolica e analcolica). Condividere o offrire un jus determina la chiusura di una giornata, di un evento, di un attività. Per le comunità con cui lavoro ha più valore ricevere un jus a fine attività, che un qualunque gadget di progetto, come una maglietta.
Il bar dove andiamo è di uno del gruppo di aikidoka. Ci vado con Pat e le altre due uniche donne dello stage. Il bar in realtà è il salone di una parrucchiera che ha un grande frigo con i jus. Ci installiamo sotto a un grande safoutier. Fa caldissimo, siamo disidratati, chiediamo tutti dell’acqua per cominciare, tranne Steven Seagal che ha due birre Beaufort ghiacciate sul tavolino. Le beve alla goccia in non più di 40 secondi; le bottiglie scompaiono nelle sue grandi mani. Al mignolo ha un grande anello d’oro, con una testa di leone in rilievo. Io chiacchiero con Pat, ma ho un occhio su di lui. Resisto a fargli una foto, troppo presto. 
Arachidi in plastica
L’omino delle arachidi passa, come in ogni punto-bar che si rispetti qui. Le trasporta nelle bacinelle di plastica, quelle dei panni per intenderci e le vende a bicchierate. Ne compriamo una vagonata e cominciamo a sgranocchiare. Qui le arachidi le fanno bollite e sono buonissime. C'è della fame seria, in poco tempo creiamo un tappeto di bucce sotto i nostri piedi, mentre si chiacchiera di tutto. 
Molte cose non le capisco, perché dette in lingala, ma non mi sento esclusa. Mentre parlo con Maitre Jac, a qualche sedia da me, mi accorgo che Steven Seagal sta aggeggiando con una pistola giocattolo. Dice cose che non capisco, la gira, fa finta di caricarla, ci soffia sulla canna. Il suo anello è in bella vista. Viene fuori che lavoro vicino al Parco Nouabale Ndoki nel nord del Paese e mi chiede se ci sono i gorilla. Dico di sì e lui dice che vorrebbe incontrarne uno per fronteggiarlo. 




Poi risolleva la pistola e dichiara a tutti che oggi la bevuta è gratis. Nessuno reagisce. Neanche il Maestro. Devono essere abituati. E io penso che se vedesse un gorilla davvero si cacherebbe nei pantaloni.
Continuiamo a sgranocchiare le arachidi, mentre a causa della rotazione terrestre, perdiamo l’ombra del nostro safoutier. Migriamo lentamente verso il muro per evitare quel sole allo zenit, tipico dell'equatore.
Le birre finalmente escono dal salone del coiffeur e arrivano belle ghiacciate.

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Back from my summer holidays I plan 10 days in Brazzaville, I have some activities to do. It will also be an opportunity to be with friends and colleagues in the capital, practice aikido and thus gradually re-enter life here and then head north to Ouesso.

Since it is a Friday, I call the aikido master of the dojo that is three minutes away from the office. Maître Jac tells me that there will be no class because starting in the afternoon there will be a workshop at the dojo closed to the zoo, (which is the other dojo I usually go for practice). We make an appointment there and, happy, I think that my return to the country, as well as the weekend, have taken a turn for the better! I turn the corner of the street and meet Senpai Flu, I point to his phone and I show him that I was calling him just then! Flu was my gateway to aikido here. I guess he's not coming, giving confused reasons (never headed here, eh!) I suspect the usual political problems between clubs, which is why now in Ouesso I no longer practise with adults, but teach kids and children.

I rush to the dojo at 6pm. The sensei is taking his exams and it's full of little aikidoka who have just received their yellow belts. In particular there is one tiny aikidoka, the belt goes three laps around her waist, and she is so proud of it....

At the workshop we are about forty and almost perfectly distributed between black and white belts. 
Here in Congo it is customary that at the "greeting" we stand in order of rank and that the highest in rank says things to the sensei which I really cannot memorise. Luckily I am in the middle. Here the warm-up is done in a circle and is generally full of push-ups and abdominals. Today, however, the Sensei starts with a long, gentle stretch, in a sequence that is logical and extremely pleasant for my somewhat out-of-training body.

The sensei has a nice face, his name is something like Argille ("clay", which is very possible in the panorama of phantasmagorical Congolese names, such as Jadore, çasuffit, Dieumerci and many others that I have marked in a dedicated file). Even on the techniques we enter in a gentle way, doing them first without falls (what they call l'éducatif) and then move on to techniques avec la chutte et les clés (falls and keys).
I admire the sensei's strong focus on the white belts, which he pairs with the black belts after each explanation. He corrects us without ever being direct, but using metaphors or making jokes (typical here and the main cause of misunderstanding in my daily life). But what messes me up the most is that they call taesabaki, what to the rest of the world is irimi-tenkan, but now I know, so OK.

(Yes, it's a bit of a nerdy post...)

Another big real difference with orthodox dojos is that here you are allowed to arrive late. The sensei will not refuse you. That's part of Congo as well. One day I was discussing punctuality with a Congolese man who replied 'Daniela, vous avez le montre, nous avons les temps' (you have the watch, we have the time). And I was taken aback.

Amongst the practitioners there is everything: little and tall people, low and heavyweights ones. A stock of uniforms must have arrived from some Arab country, many of them have keikogi with flags in the colours of Jordan, Syria and Palestine. Some practice very fluidly and some are tree trunks. Some go slowly, some move very fast. There are those who avoid me: the white girl with the black belt correcting you is not a condition that you can accept in a few seconds! And there are those who 'seek me out' to practice and they are mainly the (few) young girls. Then there are the sceptics, those forced by the sensei to practise with me, who, worried about hurting me. They just pretend to "attack", they take it easy, but when they get a hit by me (not pretending at all) I eventually win their trust.

Three hours of training a day for three days. We sweat like crazy, there are no breaks, no drinking, no breaks for pissing. But that's just about everywhere in the aikidoka world.

I notice in particular two "Mountains" on the tatami: a black belt and an orange belt. The black one is the Steven Seagal of the Congo. The big belly hides the belt from which the hakama miraculously hangs. It is magnificent to see him working with the little students, who fall relying on being made of rubber and the respect they teach you here for hierarchy: just do it and not argue. 
Even Montagna-belt-orange falls, but he 'falls big', as we say in the jargon, and makes it very noisy, because here 'loud noise is cool'.
The enthusiasm rises and the techniques get more complicated by the day, and every morning I feel more and more broken and happy.
On the last day, Pat also joined the workshop. Pat is my 3 DAN friend with whom I usually train here in Brazzaville. Pat: great size, lots of softness.

It's Sunday and the sensei invites us after the stage to share one of the things with the highest social value here: le jus. Jus means any kind of drink (alcoholic and non-alcoholic). Sharing or offering a jus brings closure to a day, an event, an activity. For the communities I work with, it is more valuable to receive a jus at the end of the activity than any project gadget, such as a T-shirt.
The bar we go to belongs to one of the aikidoka group. I go there with Pat and the only other two women from the stage. The bar is actually the salon of a hairdresser who has a big fridge with jus
We set up under a big safoutier. It is very hot, we are dehydrated, we all ask for water to start, except Steven Seagal who has two ice-cold Beaufort beers on the table. He drinks them in no more than 40 seconds; the bottles disappear in his big hands. On his little finger he has a large gold ring with a raised lion's head. I chat with Pat, but I have one eye on him. I resist taking a picture of him, too soon.

The "peanut man" passes by, as in any self-respecting bar here. He carries them in plastic bowls - the kind used for laundry - and sells them measuring the quantity by a glass. We buy a bucketful and start munching. Here they boil the peanuts and they are delicious. 
There is serious hunger, in no time we create a carpet of peelings under our feet, while chatting about everything. Many things I don't understand, because they are said in Lingala, but I don't feel left out. 
As I talk to Maitre Jac - a few chairs away - I notice that Steven Seagal is fidgeting with a toy gun. He says things I don't understand, turns it around, pretends to load it, blows on the barrel. His ring is in plain sight. It turns out that I work near Nouabale Ndoki Park in the north of the country and he asks me if there are gorillas there. I say yes and he says he would like to meet one to confront it.
Then he raises his gun and declares to everyone that today the drink is free. No one reacts. Not even the sensei. They must be used to it. And I think if he saw a gorilla he would really shit his trousers.

We continue munching on peanuts, while due to the earth's rotation, we lose the shadow of our safoutier. We slowly migrate towards the wall to avoid that zenith sun, typical of the equator.
The beers finally leave the coiffeur's salon and arrive nice and cold.


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